L'incremento dei tre big del petrolio
Per quanto riguarda l'Arabia Saudita, l'aumento estrattivo è cominciato anche prima che l'OPEC - settimana scorsa - decidesse di aggiornare i livelli di produzione in aumento. Riad è arrivata a produrre 10,7 milioni di barili al giorno, ben 700mila bg in più rispetto al mese scorso. La Russia, che agisce fianco a fianco con l’Opec, già da marzo ha cominciato ad alzare il proprio livello produttivo. A maggio ha tirato fuori 10,97 mbg di petrolio, saliti a 11,09 mbg a inizio giugno. Appena 100mila bg in meno rispetto al massimo storico che venne registrato nel novembre 2016.La marcia più forte però è stata quella degli USA. La produzione americana è giunta a 10,9 mbg, con esportazioni al livello record di 3 mbg. Per capire quanto sia stratosferico questo livello, basta pensare che i volumi sono superiori a quanto la maggior parte dei Paesi Opec sia in grado addirittura di produrre.
La corsa dello shale oil
La "minaccia" americana è senza dubbio quella più forte per gli equilibri di mercato. Tuttavia, alcuni aspetti fanno pensare che non potrà durare a lungo la corsa dello shale oil. Anzitutto perché la capacità dei porti sul Golfo del Messico probabilmente è vicino al limite massimo di sfruttamento. Inoltre la rete di oleodotti è inadeguata, e questo potrebbe arrestare la crescita dello shale oil. Inoltre il petrolio Usa è diventato meno conveniente per i consumatori. Infatti lo spread con il Brent si è dimezzato passando dai quasi 11 $ di inizio giugno a meno della metà di adesso. Questo non incentiva più le esportazioni.Ma attenzione, perché all'orizzonte si profila un nuovo elemento che minaccia davvero di sconvolgere tutti gli equilibri: i dazi sul petrolio.
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