venerdì 28 giugno 2019

Petrolio in frenata: occhi sul G20 e il meeting dell'OPEC

Dopo una fortissima ascesa, i prezzi del petrolio WTI hanno cominciato a frenare sulla soglia dei 60 dollari al barile. Il Brent invece ha rallentato a 66.

L'OPEC rinnoverà i tagli alla produzione di petrolio

L’ascesa dell'oro nero aveva portato a recuperare oltre il 15% in poco più di due settimane, mandando ai matti l'indicatore Supertrend trading system. Ma adesso gli occhi degli investitori sono tutti rivolti a quanto deciderà l'OPEC+ nella riunione in programma settimana prossima. In un contesto in cui è l’incertezza a dominare la scena, è scontato che il cartello dei Paesi esportatori e i maggiori produttori decideranno per rinnovare i tagli produttivi.

Il piamo messo in campo per ridurre la produzione di 1,2 milioni di barili giornalieri potrebbe addirittura essere incrementato. Tra gli operatori si parla infatti di una riduzione supplementare di 600 mila barili giornalieri. Il problema da affrontare è relativo alla domanda debole. Secondo le recenti stime dell’Agenzia Internazionale dell’Energia, le richieste di petrolio cresceranno di 1,2 milioni di barili al giorno, contro gli 1,4 stimati a inizio anno.

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Il meetind Cina-USA in Giappone

Un evento importantissimo - sul fronte della domanda - sarà l'incontro tra Trump e Xi Jinping. Lo scontro commerciale USA-Cina ha infatti avuto effetti dannosi per la domanda di petrolio, e una eventuale schiarita farebbe felici i produttori. Trump ha lasciato aperta la porta alla possibilità che un accordo possa essere raggiunto durante il G20 del weekend in Giappone, ma ha detto che imporrà nuovi dazi alla Cina se non si raggiungerà un accordo commerciale con il leader cinese Xi Jinping. Scenario questo che sarebbe durissimo per le quotazioni del petrolio.

Sul fronte dell'offerta invece, i prezzi potrebbero beneficiare delle tensioni con l’Iran e alla difficile situazione in Venezuela.

mercoledì 26 giugno 2019

Conti in rosso, la situazione delle famiglie si è aggravata in 10 anni

Le famiglie con i conti in rosso sono cresciute del 53% nell'ultimo decennio, aumentando di conseguenza il rischio di essere esposti a usura. In questi anni di persistente crisi economica e finanziaria, molte famiglie (ma anche imprese) sono state attratte dal circuito illegale e drammaticamente pericoloso del credito illegale.

Conti in rosso: i numeri

L'allarme è stato lanciato dalla Consulta Nazionale antiusura, che ha illustrato la situazione drammatica delle famiglie italiane dopo gli anni della crisi economica del 2007-2009. Quelle che avevano conti in rosso dieci anni fa erano 1,27 milioni circa. Oggi invece sono salite a 1,96. Inoltre negli ultimi 8 anni ben 527mila case sono state vendute all’asta. Numeri che fanno venire i brividi.

I cambiamenti nel sistema bancario hanno aggravato il problema. Infatti ha stretto le maglie della concessione di credito, incrementando il tasso di insolvibilità e creando allo stesso tempo gli spazi di domanda del credito non soddisfatta. Ed è lì che s'è infilata la criminalità organizzata, offrendo prestiti a caro prezzo.

La Legge negli ultimi anni è intervenuta per sostenere soprattutto le aziende, ma occorre aiutare anche le famiglie. Servono immediate politiche che favoriscano la riduzione del debito delle famiglie e allo stesso tempo il loro accesso agevolato ai benefici del welfare. Bisogna cioè favorire il riequilibrio dei loro conti.

Situazione drammatica nel Meridione

Le famiglie con i conti in rosso, e quindi più esposte a usura, si trovano in prevalenza nel Meridione. E' grave la situazione in diverse zone del calabrese (Reggio e Crotone in modo particolarmente drammatico) e in sette province siciliane. Ma anche quelle pugliesi, e Potenza per la Basilicata. In tutto il Sud, soltanto Benevento e Avellino si salvano. All'altro capo della classifica ci sono le zone meno esposte a usura. Folta presenza di province del nord-est (9), nord-ovest (11), poi vengono centro-nord e la Capitale (6).

lunedì 24 giugno 2019

Euro-dollaro ai massimi di 3 mesi in avvio di settimana

L'euro-dollaro parte al rialzo questa settimana, e si porta ad un massimo di 3 mesi. Il sentiment degli investitori sul biglietto verde è ancora tiepido, soprattutto dopo che la Federal Reserve ha fatto intendere la scorsa settimana, che potrebbe presto tagliare i tassi di interesse.

Il balzo dell'euro-dollaro

L'euro ha così prolungato il suo ottimo momento (sostenuto anche dai dati positivi sull'attività commerciale francese e tedesca), piazzando un incremento dell'1,4%. L'euro-dollaro è salito fino a 1,139 nei primi scambi asiatici. Si tratta del livello più alto dal 22 marzo. Chi adotta strategia forex 30 minuti trading sta continuando a puntare sulla valuta unica.

L'indice del dollaro (che misura le variazioni del greenback rispetto a un paniere di sei valute principali) è verso 96,1. Venerdì scorso aveva toccato 96,093 venerdì, il minimo dal 21 marzo. Il biglietto verde è reduce da tre sedute consecutive in negativo.

Appendice tecnica: uno degli strumenti più interessanti per fare operazioni online è la strategia bande di Bollinger e MACD forex.

Le spine della BCE e la politica monetaria

Per quanto riguarda la valuta europea, va sottolineato però come la situazione non sia così entusiasmante. La UE ha ancora un problema irrisolto che è il debito dell'Italia, nonché un ritmo di crescita molto blando. Come ha fatto la FED, anche la Banca centrale europea ha aperto la porta ad un nuovo possibile allentamento della propria politica monetaria. Cosa grave però, è che la banca centrale europea già impiega una politica del tasso di interesse negativo, e non ha molto altro margine per stimolare l'economia. La Fed invece ha un ampio margine di manovra, visto che nel 2018 ha alzato per ben 4 volte il tasso di interesse.

Occhio al G20

Attenzione agli eventi di questa settimana. Dopo mesi di tira e molla tra Washington e Pechino, il prossimo vertice G20 in Giappone potrebbe mettere attorno al tavolo il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il presidente cinese Xi Jinping. Qualora dovessero arrivare dei progressi nei colloqui commerciali, il dollaro potrebbe volare di nuovo.

venerdì 21 giugno 2019

Deutsche Bank, bufera in arrivo? Indagini negli USA su riciclaggio

Il mondo delle banche è scosso dall'ennesimo caso molto spinoso. Stavolta la tegola si è abbattuta sul Deutsche Bank. Il colosso tedesco sarebbe infatti nel mirino delle autorità di controllo americane, per riciclaggio di denaro e altri reati di matrice finanziaria.

Il caso Deutsche Bank

A riferire la notizia è il New York Times, ed anche se non c'è stata alcuna conferma ufficiale, la notizia riportata dal quotidiano newyorkese è così dettagliata da far escludere l'ipotesi di una bolla di sapone. Peraltro, come vedremo a breve, ci sono alcuni aspetti che fanno pensare che la vicenda in cui è coinvolta Deutsche Bank cosa non passerà certo inosservata.

Sotto la lente di ingrandimento delle autorità americane sarebbero finite una serie di operazioni che sono state poste in essere tra il 2016 e il 2017. In sostanza sarebbe accaduto che alcune transazioni sarebbero state messe all'attenzione dei vertici in quanto giudicate molto sospette. Tuttavia, l'allora funzionaria della compliance del gruppo Tammy McFadden, avrebbe ignorato queste segnalazioni, e addirittura sarebbe stata cacciata proprio la dipendente che le aveva effettuate.

Entra in ballo anche Trump

Come se questo non fosse già grave, a rendere la cosa più scottante è che alcune di queste transazioni problematiche sarebbero legate al presidente USA Trump e anche a suo genero (e consigliere) Jared Kushner. Va peraltro ricordato che all'inizio di giugno, un gruppo di senatori del Partito Democratico americano aveva chiesto alla FED di effettuare delle approfondite indagini sul rapporto proprio tra la Deutsche Bank, il presidente Trump e il genero Kushner. Coincidenza oppure no?

Finora non è arrivata alcuna conferma di indagini per violazione della legge sul riciclaggio a carico di Deutsche Bank, e il gruppo bancario ha rifiutato di commentare l'articolo del NTY. Però si sarebbe limitato ad affermare di essere impegnato a collaborare al massimo con le autorità americane.

mercoledì 19 giugno 2019

Prezzo del greggio, sta cominciando un nuovo rally?

I nuovi spiragli di ottimismo sul fronte commerciale USA-Cina, hanno messo le ali al prezzo del greggio. Nella sessione di martedì, loro nero ha registrato il maggior guadagno degli ultimi cinque mesi.

I driver del prezzo del greggio

La spinta al prezzo del greggio è arrivata dopo un tweet di Donald Trump, in cui il presidente americano riferiva di una "ottima conversazione telefonica" col presidente cinese Xi Jinping, con il quale è in agenda un incontro al prossimo G20 in Giappone. I mercati hanno visto un segnale di disgelo in questo messaggio, con tutte le conseguenze del caso. Ad esempio la crescita dell'economia globale, che a sua volta è il motore della crescita della domanda di petrolio (che l’Agenzia internazionale per l’energia vede meno tonica dell’offerta).

BCE e FED

Ha avuto il suo peso anche il messaggio lanciato da Draghi (BCE) di fornire nuovi stimoli monetari. Anche questo è un fattore rialzista per il prezzo di greggio. Per questo stesso motivo oggi gli investitori guarderanno con molta attenzione al messaggio che invierà la FED questa sera, dopo il suo meeting di politica monetaria.

Da qui si spiega il rally dell'oro nero nella giornata di martedì. Il Wti è tornato a superare 54 dollari al barile al New York Mercantile Exchange (Nymex), come abbiamo visto sulle piattaforme dei broker spread più bassi. Invece il Brent, che aveva iniziato la seduta in flessione, ha chiuso a quota 62,14 dollari (+2%).

Annotazione: quando si fanno investimenti online, è bene conoscere alcune figure note. Ad esempio il triangolo di continuazione inversione.

L'OPEC+ e il meeting di luglio

In questo scenario bisogna inquadrare anche il meeting di metà anno dell'OPEC+. In questo momento sembra probabile un accordo nel proseguire i tagli produttivi, anche se il "cartello" fatica a fissare un appuntamento per rinnovare gli impegni, tanto che il vertice previsto per il 25 e 26 giugno a Vienna si avvia a slittare al prossimo mese. Quando? Dopo diverse trattative incrociate con Mosca e Teheran, sul sito dell'OPEC si parla del 1 e 2 luglio.

lunedì 17 giugno 2019

Imposte sugli immobili, prima scadenza per IMU e TASI. E il rischio aumento c'è

Ultimo giorno utile per adempiere ai primi obblighi fiscali sugli immobili. Il 17 giugno infatti scade il termine per pagare l'acconto di IMU e TASI (pari al 50% del totale), mentre il saldo di queste imposte dovrà essere pagato entro dicembre.

Appuntamento pre-estivo con le imposte

Si tratta di appuntamento importanti per lo Stato, visto che gli assicurano più di 20 miliardi di introiti. Per questo primo appuntamento con le imposte, i contribuenti non si trovano di fronte ad alcuna brutta sorpresa. L'acconto che hanno pagato l'anno scorso, sarà uguale anche quest'anno se non è cambiata la quota di proprietà o il periodo. Stesse aliquote, stesse imposte. Anche se in agenda non sono previsti aumenti per due tasse, lo scenario potrebbe cambiare in modo forte da qui a dicembre, ovvero il mese del pagamento del saldo.

Niente più blocco delle aliquote

Nell'ultima Legge di Bilancio infatti non c'è più traccia del blocco delle aliquote, che ormai durava da 4 anni. Questo significa che i comuni hanno la facoltà di aumentarle, sia pure entro i limiti consentiti dalla legge. Chi vive in comuni che già applicano le aliquote massime, non potrà imbattersi in brutte sorprese. Ma per tutti gli altri il rischio di subire una stangata è concreto. Per non dire molto probabile.

Occorre partire da una considerazione: in Italia ci sono oltre 400 comuni in dissesto o pre-dissesto, e di fronte alla possibilità di alzare gli introiti delle imposte locali, è facile immaginare che non si faranno sfuggire questa occasione. Del resto c'è già un esempio concreto, in materia di imposte sul reddito. Lo sblocco delle addizionali deciso dall’ultima legge di bilancio, ha infatti spinto l'Irpef locale verso l'alto in 600 Comuni.

Non resta quindi che aspettare e incrociare le dita, aspettando di conoscere l'aliquota da applicare tramite le delibere comunali che le amministrazioni sono tenute a pubblicare entro il 28 novembre sul sito del ministero dell’Economia.

venerdì 14 giugno 2019

Petrolio, impennata dei prezzi a causa della crescente tensione USA-Iran

La tensione USA-Iran nel Golfo dell'Oman scuote il mercato del petrolio, provocando una rapida impennata dei prezzi di Brent e WTI.

Lo scontro nel cuore del petrolio

Washington e Teheran si sono reciprocamente accusate di essere responsabili dell'attacco alle due petroliere (una giapponese e una norvegese) nella zona del Golfo dell'Oman, tra l’Iran e lo stretto di Hormuz. Si tratta di una zona normalmente considerata più sicura, ma al tempo stesso importantissima visto che da lì transita circa un quinto del consumo globale di petrolio. Si tratta del secondo attacco a cargo petroliferi nel giro di un mese nel Medio Oriente.

Il segretario di stato Usa Mike Pompeo aveva subito puntato il dito contro l'Iran, accusandolo di voler aumentare le tensioni e creare sempre più instabilità nella regione. Dal canto suo l'Iran ha negato qualsiasi coinvolgimento, accusando gli Stati Uniti di aver ordito una "campagna iranofoba". Queste nuove tensioni in Medio Oriente si sono intensificate da quando Donald Trump ha ritirato gli Usa dall’accordo sul nucleare con l’Iran, ripristinando le sanzioni contro Tehran.
Approfondimenti: è interessante osservare l'andamento delle quotazioni del petrolio tramite il ventaglio di Gann (fan).

Il mercato spinge il petrolio

La reazione del mercato petrolifero è stat immediata. Su markerts abbiamo visto il prezzo del WTI salire a 52,50 circa, mentre il Brent è arrivato verso i 62 dollari al barile dopo aver toccato anche i 62,6 (qui c'è la guida markets.com cos'è come funziona).

A sostenere la quotazione dell'oro nero c'è anche l’eventualità che i paesi Opec siano prossimi a un accordo per protrarre i tagli alla produzione di greggio (i tagli avrebbero dovuto portare a un equilibrio tra domanda e offerta nel 2017, ma siamo nel 2019 e l’obiettivo non è ancora stato raggiunto). Appena il giorno prima il petrolio aveva segnato i minimi da 5 mesi, dopo l’inatteso aumento delle scorte settimanali statunitensi e le previsioni deboli sul versante della domanda mondiale.

mercoledì 12 giugno 2019

Fisco, gli italiani gradiscono la "pace". Oltre 1,7 milione di domande, prorogata la scadenza

Il rapporto tra gli italiani e il Fisco non è mai stato facile. Colpa soprattutto di una pressione fiscale sempre terribilmente elevata. Ma è colpa altresì del fatto che la maggioranza che paga le tasse, le subisce così elevate perché ci sono tanti che le evadono.

La pace con il Fisco

L'idea di un Fisco che ti tende la mano allora piace. Lo dimostra l'andamento della "pace fiscale", la sanatoria delle cartelle introdotta dal decreto fiscale e dalla Legge di Bilancio 2019. Si tratta di un progetto ampio e articolato che prevede quattro diverse opzioni di chiusura dei debiti e delle cartelle. Una di queste è il "saldo e stralcio", per i contribuenti con ISEE di valore non superiore a 20.000 euro. Consente di pagare il debito maturato tra il 2000 e il 2017 con tre diverse aliquote, dal 16% al 35% in base al valore dell’ISEE presentato.

Alla data del 30 aprile scorso, gli italiani avevano presentato ben 1,7 milioni di domande per accedere alla "pace fiscale", riferibili a una platea di circa 1,5 milioni di contribuenti. Un successo. I numeri record riguardano la "rottamazione ter" e il "saldo e stralcio" (332mila), con 12,9 milioni di cartelle rottamate pari a 38,2 miliardi di euro. Il valore di carico complessivo è pari a 38 miliardi di euro. La base effettivamente riscuotibile dalla rottamazione ter è di 21,1 miliardi, mentre per il "saldo e stralcio" l’importo da cui partire è 6,5 miliardi.

Gettito ipotetico e possibile

Ma quanto potrà entrare nelle casse dello Stato? Non tutto il maxi-importo sarà ovviamente gettito. Complessivamente quindi 27,6 miliardi di euro sono la base di riferimento per calcolare il possibile gettito che giungerà al Fisco italiano. Intanto visti i numeri, le Commissioni Bilancio e Finanze della Camera hanno dato il via libera alla riapertura dei termini per entrambi i provvedimenti, rispetto alla scadenza del 30 aprile scorso. adesso la nuova scadenza è posticipata al 31 luglio prossimo.

lunedì 10 giugno 2019

Oro in rally, giugno è cominciato con il piede sull'acceleratore

L'inizio del mese di giugno è stato brillante per l'oro, che ha preso il volo parallelamente ai listini azionari Usa. Il metallo prezioso è salito rapidamente oltre quota 1.300 dollari per oncia, perché gli investitori sono preoccupati per le tensioni commerciali sino-americane e le conseguenze che potrebbero esserci sull’economia globale. Ad aggravare il tutto c'è stata pure la minaccia di Trump (parzialmente rientrata) di imporre dazi anche al Messico.

Oro e guerre commerciali

L'oro si è quindi ripreso il suo ruolo di bene rifugio contro gli effetti negativi dell’attuale crisi geopolitica. L'elemento che spaventa più di tutti i mercati è la disputa tra Stati Uniti e Cina, che a dispetto degli sporadici sprazzi di ottimismo, ha preso invece una brutta piega. Le quotazioni dell’oro hanno però cominciato a crescere quando a questo fronte caldo se n'è aggiunto pure un altro, ovvero quello riguardante i dazi doganali contro il Messico. Almeno sotto questo aspetto è stata sancita una tregua, che per adesso ha scongiurato questa misura.

Intanto però, chi conosce cos'è il trading sui mercati otc, avrà visto le quotazioni ask e bid sull'oro andare verso l'alto. Il metallo prezioso si è infatti spinto fino ai massimi da oltre un anno, raggiungendo un picco a circa 1350 dollari. Il guadagno settimanale ha superato il 3%, cosa che non si vedeva da aprile 2016.

Consiglio: per fare trading in modo efficace occorre saper padroneggiare bene alcuni concetti, come Buy stop e sell stop.

Le politiche monetarie

C'è da aggiungere che i timori dei mercati si sono acuiti sulla scia delle decisioni di politica monetaria, in particolare quelle della Fed. Il presidente Jerome Powell ha acceso le aspettative di un taglio dei tassi di interesse a breve. Prospettiva che venerdì si è rafforzata dopo i i dati sull’occupazione Usa, alquanto deboli. Alcuni analisti credono che la Fed dovrà abbassare i tassi di interesse per compensare il ritmo sempre più lento della crescita economica.

giovedì 6 giugno 2019

Lavoro per 236mila, ma non ci sono figure altamente specializzate

Esiste un fabbisogno di lavoro in molti settori dell'economia italiana, che non riesce ad essere appagato. Sembra strano dirlo in un paese che affronta il cronico problema della disoccupazione, ma è proprio così.

Il lavoro che chiama ma nessuno risponde

lavoroMolti dei marchi più prestigiosi del "made in Italy", nel prossimo lustro potrebbero aver bisogno di circa 236mila figure professionali. Ma si stima che circa due terzi di essi non sono reperibili sul mercato del lavoro. Manca il personale qualificato di alto livello. Il problema attraversa in modo trasversale molteplici settori. Dal design al settore alimentare, dall’automotive alla moda. Servirebbero profili tecnici e professionali, progettisti, meccatronici, tecnici della vinificazione, guide enogastronomiche; pellettieri, tessitori, sarti, ecc ecc.

Le scelte scolastiche sbagliate

Il problema riguarda le scelte formative dei ragazzi. Il 65% circa di essi dopo la scuola decide di frequentare un liceo, solo il 30% si indirizza verso un istituto tecnico, e appena il 15% sceglie un istituto professionale. Eppure il mercato del lavoro richiede tutt'altro. Il mercato del lavoro collegato alla formazione liceale è da tempo ingolfato, mentre le categorie quelle tecniche e professionali hanno continuo bisogno di lavoro. Eppure da noi certe attività vengono viste come meno attraenti.

Riguardo alla formazione scolastica c'è un dato eclatante: in Italia gli iscritti agli istituti tecnici superiori sono appena 10mila, in Germania circa 880mila, mentre in Francia 240mila. Ecco perchè molte aziende hanno già creato al loro interno laboratori di istruzione e apprendistato per formare in casa i propri professionisti del futuro. Altre hanno avviato percorsi di collaborazione stretta con gli istituti tecnici e professionali. Ma è chiaro che occorre un tavolo di lavoro istituzionale sul tema della formazione, nonché campagne di comunicazione per sensibilizzare e raccogliere contributi e interventi.

martedì 4 giugno 2019

Costo del denaro, l'Australia effettua un nuovo taglio di 25 pb

Non è giunta nessuna sorpresa dalla RBA, la banca centrale dell'Australia. L'istituto ha infatti deciso di ridurre di 25 punti base il costo del denaro, portandolo così al nuovo minimo storico di 1,25%.

Le motivazioni del taglio al costo del denaro

Ma cosa ha indotto la RBA a operare il taglio del costo del denaro per la prima volta dal 2016? Essenzialmente il rallentamento dell'economia e dell'inflazione, ma anche la volontà di stimolare la crescita dell'occupazione. La banca centrale ritiene che esistano dei rischi per l'economia globale, provenienti dalla guerra commerciale. Inoltre le maggiori incertezze che si respirano sui mercati, stanno condizionando i piani di investimento in diversi paesi. Secondo la banca centrale australiana, la crescita del Pil nazionale sarà del 2,75%, sia per il 2019 che per il 2020. L'inflazione attesa è invece pari all'1,75% per quest'anno, al 2% nel 2020 e più alta negli anni successivi.

La reazione dei mercati

I mercati hanno reagito in modo tiepido alla decisione della RBA di tagliare il costo del denaro. Infatti si trattava di una decisione abbondantemente attesa e già "prezzata". Per questo motivo il dollaro AUD non ha avuto alcun sussulto e non ha scaldato la sessione di chi fa forex day trading (che cos'è). Semmai è stato avvertito un po' di più il dato deludente sulle vendite al dettaglio. Ad aprile infatti sono scese dello 0,1% su base mensile, mentre su base annua la crescita ha rallentato al 2,8%.

Suggerimento: occorre sapere gli effetti a cui si va incontro, quando un trader acquista un'opzione vanilla al prezzo bid ask.

Ad ogni modo, la coppia Aud-Usd si è apprezzata fino a toccare 0,6993, ovvero il massimo dal 13 maggio, ma in seguito è tornata in equilibrio verso la parità giornaliera. Bisogna evidenziare che la valuta australiana sta traendo beneficio (in quanto commodity currency) dal recente dato sul Cina Caixin PMI, che ha mostrato segnali di tenuta della seconda più grande economia del mondo.