martedì 30 aprile 2019

Costo del lavoro, quantificarlo nelle gare d'appalto è più complesso di quel che si crede

Quando un imprenditore decide di prendere parte ad una gara d'appalto, uno degli elementi che si ha più difficoltà a valutare nelle stime riguarda il costo del lavoro. La cosa è particolarmente importante se l'oggetto del contratto è la fornitura di servizi tramite impiego diretto del personale.

Lavoro e risorse da impiegare

Quantificare il costo del lavoro è un problema controverso e dominante, sebbene possa apparire qualcosa di agevole. Invece è tutt'altro. Anche nel caso in cui il disciplinare di gara preveda dei requisiti chiari rispetto al numero di risorse da impiegare o al numero di ore di attività da garantire, chi partecipa alla gara potrebbe decidere di modulare la propria offerta in modo diverso. Non necessariamente questo accade per spingere al ribasso la propria offerta oppure perché si vuole "sfruttare" al massimo il proprio dipendente. Spesso anzi è frutto di validissime ragioni organizzative, inappuntabili dal punto di vista gestionale. Il punto però è come quantificare la relativa voce di costo da imputare all'appalto.

Le tabelle ministeriali

Spesso vengono assunte come parametro di riferimento per il calcolo le tabelle ministeriali che illustrano il costo medio del lavoro per le diverse attività. Ma l'errore può comportare conseguenze gravi, giacché tali tabelle ministeriali forniscono un valore del costo del lavoro meramente indicativo, che servono solo a valutare l’adeguatezza dell’offerta. La proposta dell'imprenditore può discostarsi in misura più o meno ampia da questi valori. Tuttavia la proposta di valori inferiori (o superiori) deve poggiare sempre su una giustificazione chiara e dimostrabile.

Le valutazioni dell'imprenditore

L'imprenditore potrebbe legittimamente giustificare questi scostamenti sulla base di elementi oggettivi oppure su statistiche aziendali. Ad esempio il costo inferiore rispetto a quello tabellare potrebbe giungere dal concorso degli enti previdenziali ed assistenziali nell’indennizzare malattie ed infortuni, oppure dimostrando di essere soggetti ad inferiori tassi INAIL; oppure perché il costo viene imputato al lavoro supplementare che, per diversi contratti collettivi, incide in modo minore rispetto al lavoro “ordinario”.

Questi elementi dimostrano come il tema del costo del lavoro diventa importantissimo nella partecipazione alle gare di appalto, anche perché spesso gli scostamenti e le relative giustificazioni, spesso diventano oggetto di ricorsi promossi da coloro che non siano risultati aggiudicatari della gara. Con tutte le conseguenze del caso.

giovedì 25 aprile 2019

Fisco, ultimi giorni per la "pace" con i contribuenti. Si va verso il milione di richieste

Alla fine di aprile scadranno i termini per fare pace con il Fisco italiano, ovvero la procedura che permette ai contribuenti di beneficiare della riduzione dell’importo dovuto prevista dalla legge. Alla fine le richieste potrebbero raggiungere il milione.

Le domande per fare pace con il Fisco

Finora all'agenzia dell'Entrate sono state presentate ben 865 mila domande per fare pace con il Fisco, ma siccome il trend ha subito una certa accelerata con l'avvicinarsi della scadenza, il "traguardo" del milione potrebbe effettivamente essere tagliato. La maggior parte delle richieste - circa 725 mila - riguarda la cosiddetta rottamazione-ter (Dl 119/18 convertito con modificazioni dalla legge 136/18); le altre 140 mila invece il "saldo e stralcio", previsto dalla legge di bilancio 2019 (legge 145/18).

Sportelli aperti al sabato

Per consentire a tutti di poter beneficiare di questa "pace fiscale", l'Agenzia delle entrate-Riscossione ha deciso di tenere aperti in via straordinaria gli sportelli anche sabato prossimo 27 aprile (nei capoluoghi di provincia e in alcuni altri Comuni). L'elenco è consultabile sul sito www.agenziaentrateriscossione.gov.it. Tuttavia la domanda può essere presentata anche fuori sportello, ovvero tramite i canali online. Già la metà delle domande è stata finora presentata proprio tramite i canali online. Va anche aggiunto che la presentazione telematica ha una scadenza più lunga, visto che è possibile presentare la domanda fino alla tarda serata del 30 aprile, quindi anche dopo l'orario di chiusura degli sportelli (che avverrà diverse ore prima).

Il podio: Lazio, Lombardia e Campania

Ma le richieste di pace fiscale finora da dove sono giunte? Al 18 aprile scorso la regione da dove era partito il maggior numero di richieste era il Lazio, con 135 mila domande complessive (14 mila per il saldo e stralcio e 121 mila per la rottamazione-ter). Al secondo posto la Lombardia, con circa 127 mila richieste complessive. Sul podio anche la Campania, dove le istanze totali presentate sono circa 99 mila di cui 18 mila per il saldo e stralcio e 81 mila per la rottamazione-ter.

martedì 23 aprile 2019

Petrolio, il rally non accenna ad esaurirsi. Obiettivo 80 dollari?

Continua la marcia forte del petrolio, che dopo il rally di lunedì ha continuato a battere i nuovi massimi di sei mesi.

La corsa del petrolio

A innescare la marcia dell'oro nero è stata la decisione Usa di imporre a tutti i Paesi, compresi quelli finora esentati, l’embargo sul greggio iraniano. A partire dal prossimo 2 maggio, il Dipartimento di Stato americano non sarebbe infatti più disposto ad ammettere eccezioni nell’import di petrolio da questo Paese. La conseguenza è che chiunque effettuerà ancora delle importazioni dall'Iran, sarà soggetto a sanzioni. Gli USA avevano introdotto nuovamente le sanzioni dopo che il presidente Donald Trump aveva deciso di abbandonare unilateralmente l'accordo sul nucleare sottoscritto nel 2015. L'accordo era stato stipulato tra l’Iran e sei potenze mondiali. Finora Washington aveva concesso a otto Paesi (soprattutto asiatici) il beneficio della esenzione.

Gli altri driver del petrolio

Il sentiment di spinta sul mercato petrolifero è stato ulteriormente rafforzato dopo che l'Arabia Saudita ha accolto con favore la decisione statunitense di revocare le esenzioni dalle sanzioni. Nel frattempo, anche le crescenti tensioni tra Stati Uniti e Iran sulle sanzioni continuano a creare un clima positivo per il mercato dell'oro nero. Basta guardare i grafici dei miglior broker di trading online autorizzati per rendersene conto. In una prospettiva più ampia, bisogna poi sottolineare che l'oro nero continua a trarre sostegno dai continui tagli OPEC+, dalla recente riduzione a sorpresa delle scorte di greggio statunitensi e dal miglioramento delle prospettive economiche degli Stati Uniti.

La corsa di Brent e WTI sui mercati

La conseguenza è stata l'impennata dei prezzi del petrolio, che si sono spinti su nuovi massimi dallo scorso novembre. Il Brent è volato a 74,5 dollari al barile e lo statunitense WTI ha superato i 66 dollari al barile, con un pattern bandiera trading flag di continuazione. Da gennaio il Brent è salito del 30% mentre il WTI è rincarato addirittura del 40%. Secondo gli analisti peraltro, con le nuove restrizioni potrebbe essere raggiunta quota 80 dollari per il Brent e 70 per la qualità texana del petrolio (WTI).

giovedì 18 aprile 2019

Consumi di latte scesi del 30% in sei anni. Allarme dei produttori

C'è una importante e preoccupante tendenza che riguarda le abitudini alimentari degli italiani. C'è stata infatti una fortissima riduzione dei consumi di latte, che nel corso degli ultimi 6 anni sono calati addirittura del 30%.

Consumi di latte in calo

Eppure parliamo di uno dei latti migliori del mondo, tenuto conto dell'altissima qualità del prodotto e dei controlli rigorosi lungo tutta la filiera. Ricordiamo che dal nostro latte derivano decine e decine di formaggi di eccellenza, famosi in tutto il mondo, primi tra tutti il Parmigiano Reggiano, il Grana Padano e il Pecorino. Ma se i consumi nel mondo non calano (ed anzi in molti casi crescono), in Italia il latte viene bevuto sempre di meno.

Le ragioni di questo calo sono duplici, e affondano entrambe nel mercato delle informazioni. Nel corso degli ultimi anni è cresciuto il numero di coloro che credono di avere una intolleranza al latte. In molti casi questa intolleranza è frutto di una indagine fai-da-te, di una convinzione del tutto personale che magari si basa su informazioni reperite sui forum. In secondo luogo, soprattutto sui social si sono diffuse moltissime campagne "demonizzatrici", stranamente in coincidenza con la crescita di prodotti alternativi al latte.

Proprio per questo motivo l'Alleanza Cooperative Agroalimentari ha deciso di lanciare una campagna di comunicazione autofinanziata per valorizzare la filiera lattiero casearia italiana. Si chiama «Verde latte Rosso», e nel logo c'è il Tricolore e una goccia di latte che si espande.

L'importanza del latte per l'economia italiana

Dal punto di vista economico, il mercato del latte è una colonna portante del nostro sistema. La filiera lattiero-casearia italiana vale 15 miliardi di euro. Quasi il 20% di esso proviene dall’export. Il 50% di tutto il fatturato nazionale è generato dalle cooperative che detengono e trasformano il 70% della materia prima nazionale. Ogni anno 12 milioni di tonnellate di latte servono sono destinati alla produzione (e ai consumi) di formaggi Dop (50%), per utilizzi industriali o per la porduzione di latte fresco o Uht da consumo.

martedì 16 aprile 2019

Sterlina debole nonostante il buon report sul lavoro

In una giornata priva di grandi spunti di interesse sui mercati, la sterlina ha perso quota sulla scia di notizie poco positive riguardo Brexit. I colloqui tra Jeremy Corbyn, leader dell’Opposizione e del Labour, e Theresa May, primo ministro e capitana dei conservatori, sono stati congelati.

Fronte Brexit e sterlina

Il governo di Londra ha ottenuto ad aprile una proroga dell’attivazione dell’articolo 50 fino al 31 ottobre, il giorno prima dell’elezione del nuovo presidente della Commissione Europea. Se però non troverà un’intesa sulla Brexit che piace sia a Westminster sia a Bruxelles prima del 22 maggio, il Regno Unito sarà costretto a prendere parte alle elezioni europee. L’impasse sulla proposta di unione doganale ha fatto scendere l’appetito per la sterlina britannica, perché allontana l’ipotesi di una risoluzione rapida della questione Brexit. Questo malgrado dal fronte macro siano giunti dati positivi riguardo all'occupazione.

Suggerimento: chi vuole fare operazioni sulle valute deve prima imparare le tecniche per farlo. Qui si parla di strategia swing trading forex guida.

I dati sull'occupazione

I dati hanno infatti rivelato che la disoccupazione nel Regno Unito è diminuita di 27.000 nell'ultimo trimestre, mentre il tasso di disoccupazione è rimasto invariato al 3,9%. Siamo al minimo degli ultimi 44 anni. Va precisato che la situazione di stallo nella Brexit non ha spinto le aziende a sospendere i piani di assunzione, al contrario li ha aumentati, ma soltanto perché le imprese sono state indotte a sospendere gli investimenti nella formazione (cosa non buona perché potrebbe a sua volta influire sulla produttività e sulla forza della crescita retributiva a più lungo termine).

Chi conosce il forex trading come funziona potrebbe pensare che i dati incoraggianti sul mercato del lavoro potrebbero alimentare un po' di fiducia nella sterlina, anche se ogni spinta viene attenuata dalle questioni Brexit e anche dall'approssimarsi della pausa di Pasqua. La sterlina intanto è scesa a 1,3070 rispetto al dollaro e si è indebolita dello 0,25% rispetto all'euro a 86,49 pence.

venerdì 12 aprile 2019

Spesa per mantenere casa: al Nord costa il 20% in più che al Sud

La spesa per mantenere casa (quella principale) rimane quella principale per gli italiani, che in media spendono quasi mille euro a testa.

Quanto è alta la spesa per mantenere casa

Lo rivela uno studio congiunto di Facile.it e Mutui.it, partendo dai dati Istat e del Dipartimento delle Finanze. E' stato calcolato che il costo medio mensile è pari a 942 euro al mese, e che in un anno si spendono poco più di 11300 euro. Le voci di spesa per mantenere casa vanno dalle bollette alle tasse, dalla manutenzione al pagamento delle rate del mutuo. Il calcolo è stato effettuato prendendo come standard di riferimento un appartamento di circa 100 metri quadrati, situato in una zona intermedia del contesto abitativo.

Da città a città

Dai dati emerge comunque una certa differenza delle spese per mantenere casa a seconda della collocazione geografica. In media al Nord Italia si spende il 20% in più rispetto al Sud, anche se ogni città ha i suoi prezzi. La più cara è la Capitale. A Roma infatti per mantenere casa occorrono in media 1.219 euro al mese, ovvero 14.629 all’anno. La differenza è notevole rispetto a Milano, quasi dell’8% visto che nel capoluogo lombardo si spendono 13.560 euro l'anno. Meno che a Bologna, dove la spesa per mantenere casa arriva a 13.824 euro annui. La differenza netta si percepisce spostandosi al Sud. A Palermo i proprietari sborsano 8.208 euro l’anno, a Napoli poco di più: 9.324 euro l’anno.

Mutuo, bollette e tasse sulla casa

Una delle componenti più rilevanti della spesa per mantenere casa è la rata del mutuo. Ed anche qui la differenza tra zona e zona è notevole. A Roma in media costa 864 euro, a Napoli si scende quasi della metà, 487 euro (anche Palermo è bassa, 430 euro). In generale Istat ha già evidenziato che il peso del mutuo cambia del 10% a seconda che si viva in periferia oppure all'interno dell'area urbana.

Altra componente forte sono le spese energetiche. Qui Milano batte Roma, ma in generale è il Nord che domina la classifica. In testa alle città più care ci sono infatti Torino (381 euro al mese), Bologna e Firenze (358 euro). Città dove il freddo comporta maggiori spese per riscaldare casa. Tra le spese per mantenere casa ci sono anche le imposte. La tassa sulla smaltimento dei rifiuti è più alta al Sud che al Nord. Se a livello nazionale il prelievo medio per famiglia è di circa 320 euro all’anno, al Meridione si arriva anche a 500 euro.

lunedì 8 aprile 2019

Turismo dalla Cina, previsto un boom: 1 milione di visitatori in più

Il business del turismo dalla Cina potrebbe subire una forte impennata quest'anno. Ne sono convinti gli analisti del centro studi CNA, che prevedono un milione in più di presenze nel 2019.

Turismo Cina-Italia: i numeri

Complessivamente l'affluenza dalla Cina dovrebbe superare i 6 milioni di visitatori. Una bella impennata rispetto ai 5 milioni di visitatori registrati nel 2018 e nel 2017, che a loro volta fecero registrare una crescita rispetto ai 4,5 milioni del 2016. Va detto che proprio dal 2016 è cambiato un po' lo scenario burocratico, visto che sono stati aperti undici centri per i visti consolari, cosa che ha facilitato gli ingressi nel nostro Paese. Se dovessero confermarsi le previsioni, il tasso di crescita del turismo dalla Cina verso il nostro paese crescerebbe del 33% in tre anni.

L'impatto economico

La Nuova Via della Seta porterà tanti turisti quindi, e non solo tante merci. Peraltro i cinesi sono turisti notoriamente molto propensi a spendere e consumare durante i loro viaggi. Tra i turisti extra-europei, i cinesi sono quelli che mediamente spendono di più. E' stato calcolato che il movimento economico generato dai turisti cinesi (tra viaggio, pernottamento, mangiare e bere ma anche shopping) potrebbe arrivare fino a un miliardo e mezzo di euro. Basta pensare che i soli acquisti “tax free” mediamente superano i mille euro.

Perché e dove

Il principale motivo di appeal turistico rimangono le visite alle città d’arte, con Roma al primo posto. Seguono Venezia, Firenze e Milano. Nel periodo estivo si aggiungono località marine e montane. Il turismo cinese verso l'Italia però è spinto anche dallo shopping - quanto amano i marchi italiani dell’abbigliamento e del design - e dallo "stile di vita italiano", inteso come esperienze, tradizioni artigianali ed enogastronomiche.

E riguardo al soggiorno? La preferenza dei turisti cinesi è per gli alberghi. E' lì che decide di stare il 60% dei visitatori, mentre al di fuori delle strutture alberghiere le opzioni più ricercate sono resort eleganti, alloggi signorili cittadini e ville di campagna.

venerdì 5 aprile 2019

Il Bitcoin perde appeal, volumi di scambi ai minimi di due anni

Le criptovalute attraggono di meno gli investitori. Sembra dire questo il dato evidenziato da TradeBlock, fornitore di strumenti per il trading di valuta digitale. A marzo infatti il volume degli scambi sulla più importante e famosa valuta virtuali, il Bitcoin, è sceso ai minimi di due anni. Ha infatti totalizzato 2,14 miliardi di dollari il mese scorso, il minimo da aprile 2017 quando il volume era di soli 845,7 milioni.

Il minore appeal del Bitcoin

Ma cosa ha allontanato gli investitori dal Bitcoin? Probabilmente incide la prospettiva di un maggiore controllo normativo. Un'ondata di regolamentazioni globali - a partire dalla Commissione per i titoli e gli scambi negli Stati Uniti - ha creato preoccupazioni in merito a una maggiore supervisione, e quindi alla minore possibilità di sfruttarli come strumento speculativo.

Suggerimento: se vi piacciono le criptovalute, prima di negoziarle davvero sfruttate il training con una forex piattaforma demo trading online.

Le quotazioni che oscillano

Molti investitori peraltro sono rimasti scottati dalle montagne russe vissute da Bitcoin un annetto e mezzo fa. Il BTC - ma più in generale tutte le criptovalute - erano arrivate a valere tantissimo, fino a far ipotizzare che presto avrebbero sostituito il denaro tradizionale. A dicembre 2017 un Bitcoin valeva 20mila dollari, cifra astronomica, ma nel giro di poche settimane è scesa di oltre il 70% (si può verificare su tutti i migliori siti Forex gratis). Un crollo che si è propagato a tutte le valute digitali.

Da allora la marcia delle criptovalute è stata ondivaga ma senza mai rivivere un boom. All'inizio di questa settimana, tuttavia, il Bitcoin ha recuperato un po' per raggiungere il picco di cinque mesi a $ 5,345. A scatenare questa improvvisa ascesa è stato un ordine complessivo da 100 milioni di dollari, piazzato su tre diversi exchange – Coinbase, Kraken e Bitstamp – sulla base di un algoritmo, ma riconducibile a una stessa entità. Bitocin ha così fatto registrare un incremento a doppia cifra del suo valore, pari a quasi il 20% rispetto alla situazione dei giorni precedenti.

mercoledì 3 aprile 2019

Salari, in 10 anni gli italiani hanno perso 5mila euro

La recessione economica ha portato a galla in tutta la sua crudezza alcuni gravi problemi (e relative conseguenze) dell'economia italiana. Come la perdita di valore dei salari. Secondo uno studio della Cgil nell'ultimo decennio, infatti, quelli netti hanno mediamente perso 5 mila euro.

Il valore netto dei salari

Il peso grave viene esercitato dalla pressione fiscale. Se ci fosse ancora quella inferiore che c'era negli anni Ottanta, uno stipendio netto medio mensile di 1.464 euro si trasformerebbe in 1695. Parliamo di 281 euro in più al mese. Sono i lavoratori con redditi tra 0 e 35mila euro la fascia sociale che ha sofferto di più negli ultimi anni. Ecco perché la leva fiscale viene vista come il primo strumento da utilizzare per favorire la crescita e sugli investimenti da parte delle imprese. Oggi la crescita è sostanzialmente pari a zero (del resto siamo finiti in recessione). La questione dei salari fermi al palo va riportata al centro del problema.

Negli ultimi 7 anni (quelli che vanno dal2011 al 2018), i prezzi sono cresciuti del 9,9% mentre i salari reali del 9,4%. In sostanza i lavoratori hanno perso potere di acquisto perché l'inflazione è cresciuta più di quanto non abbiano fatto gli stipendi. Alla base di tutto c'è l'assenza di crescita. Da noi è stato (ed è ancora) troppo basso rispetto a quelli che si registrano altrove. Ad esempio in Germania e Francia crescono di oltre 20 punti in più. Mancano gli investimenti, che in Italia si sono ridotti (sia pubblici che privati). Senza investimenti non c'è incremento di produttività, senza produttività non c'è crescita, e senza crescita i salari rimangono fermi.

Imposte troppo alte

Se questo quadro già è pessimo, l'incremento della pressione fscale ha dato il colpo di grazia ai lavoratori. Infatti anche quelle retribuzioni che sono nominalmente cresciute in linea con l'inflazione, quando vanno all’impatto con le imposte finiscono per subire grosse perdite di valore netto. Per questo occorre ridurre le tasse sul lavoro, di circa 100 euro mensili (secondo la Cgil), per ridare ossigeno ai lavoratori dipendenti.