mercoledì 27 maggio 2020

Mercato del petrolio, le compagnie USA hanno perso un bel po' di interesse

Il mercato del petrolio sta cercando di riorganizzarsi dopo lo shock seguito alla pandemia. Il crollo della domanda innescato dalle misure di lockdown, unito al cronico problema dell'offerta, aveva spinto i prezzi in ribasso a livelli mai visti. Addirittura il WTI era sceso sotto zero a metà aprile. Lo scenario però adesso si sta nuovamente trasformando.

La situazione sul mercato del petrolio

La buona notizia per il mercato del petrolio è il progressivo allentamento delle misure di blocco alle attività produttive. Praticamente in tutto il mondo si sta lentamente tornando alla normalità. La domanda di oro nero sta così risalendo verso i livelli pre-Covid. Nel frattempo, i tagli voluti dall'OPEC+ , pari a 9,7 milioni di barili, hanno ridotto anche il lato dell'offerta. Si spiega così l'ascesa dei prezzi di Brent e WTI oltre il livello dei 30 dollari al barile, generando un Wolfe Wave pattern di inversione sui prezzi.

Gli USA meno attratti dall'oro nero

Ma c'è anche dell'altro all'orizzonte. Dagli Stati Uniti arriva una inversione di tendenza riguardo alla corsa al petrolio. Il calo della produzione- che pure era ipotizzabile visto il tracollo del WTI - è stato infatti più rapido e deciso del previsto. Al punto tale che la riduzione complessiva a stelle e strisce potrebbe essere maggiore di quella concordata in seno all'OPEC+ per Russia e Arabia Saudita. Washington infatti ha già perso circa 2 milioni di barili al giorno, e secondo molti potrebbe scendere fino al doppio.

Calano investimenti e trivelle

La ritirata dallo shale oil è chiara. Alcune delle aziende più famose al mondo americane del mercato del petrolio hanno tagliato gli investimenti della metà, e secondo diversi analisti si tratta di tagli "irreversibili" e non temporanei. Del resto un segnale chiaro è il fatto che, malgrado la ripresa del WTI oltre i 30 dollari, non c'è stata alcuna reazione da parte dei produttori. Anzi, il numero delle trivelle continua a calare da dieci settimane. Nel corso di questo lasso di tempo è sceso di quasi due terzi, a 683 unità secondo Backer Hughes: il minimo da luglio 2009.

lunedì 25 maggio 2020

Presiti o sovvenzioni? La battaglia sul Recovery Fund tra i Paesi UE entra nel vivo

L'economia italiana si aggrappa al piano per il Recovery fund, che la Commissione UE presenterà mercoledì. In ballo per il nostro Paese ci sono fondi che potrebbero avvicinarsi ai 100 miliardi di euro. Non si sa in che misura a fondo perduto e in quanta parte come prestiti.

La battaglia su prestiti e sovvenzioni

Il Recovery fund sarà lo strumento più importante per tamponare gli effetti terribili del Coronavirus sull'economia italiana e sull'economia dell'Eurozona. C'è una proposta sul piatto, quella formulata da Francia-Germania, per sovvenzioni (non prestiti) da 500 miliardi. In una bozza precedente si fermava a 320 miliardi di euro. Ma questa ipotesi ha trovato un grosso ostacolo in alcuni paesi del Nord (Olanda, Danimarca e Svezia) e nell'Austria. Acconsentono agli aiuti ai vari Paesi, ma per lo più in forma di prestiti a condizioni favorevoli in cambio di “un forte impegno a riforme e al quadro di regole fiscali”. Nel dettaglio i 4 frugali propongono di istituire un “Emergency Recovery Fund” della durata limitata a due anni.

Il ruolo delicato della Commissione UE

La Commissione, che aveva anticipato la possibilità di un fondo da 1.000 miliardi, in parte costituto da prestiti e in parte da sovvenzioni, sarà una brutta gatta da pelare. Dal momento che il piano si deve finanziare soprattutto con risorse proprie europee, quindi con i contributi degli Stati, l'esistenza di una forte scontro interno non agevola il compito. Per la presidente Ursula von der Leyen i margini sono risicatissimi. Dovrà cercare un equilibrio che possa convincere tutti ad appoggiare una proposta di compromesso. 

Nord contro Sud

A poco sono serviti finora gli appelli e gli inviti ai Paesi nordici. S'è cercato di convincerli che la loro intransigenza è una forma di autolesionismo: se l'Europa va a fondo, vanno a fondo anche loro che ne fanno parte. I Paesi del Nord sono molto diffidenti soprattutto riguardo al modo in cui i Paesi del Sud potranno spendere eventuali aiuti a fondo perduto. Specialmente Austria e Olanda vogliono condizioni stringenti.

L'Italia invece vorrebbe avere ampio margine di elasticità. Anzi il segretario del Pd, Nicola Zingaretti, ha parlato di "prestiti a «fondo perduto, temporalità di medio periodo e senza rigide condizionalità". In mezzo c'è la Commissione, che per poter dare qualcosa in più sarà costretta a prevedere dei paletti sempre più rigidi. Di sicuro ci saranno delle condizionalità forti sulla destinazione degli investimenti. Niente al di fuori della crisi da coronavirus.

mercoledì 20 maggio 2020

Banca centrale svizzera alle prese col problema cambio: il franco svizzero è troppo forte

Il rapporto tra la Banca nazionale Svizzera e la sua valuta è da sempre molto delicato. L'istituto centrale è infatti impegnato in una costante battaglia per tenere il cambio del franco all'interno di uno stretto range, tanto contro l'euro che contro il dollaro. Ma lo scoppio della pandemia ha reso difficile questo compito.

La battaglia della Banca centrale svizzera

La crisi economica globale innescata dal Covid, ha infatti modificato l'orientamento degli investitori. Questi ultimi infatti si sono spinti verso i beni rifugio, come appunto il franco svizzero. Da diverse settimane quindi il CHF è particolarmente forte, e di conseguenza la Banca nazionale svizzera (BNS) è al lavoro per contenere l’apprezzamento (qui invece ci sono le previsioni euro lira turca dollaro). Peraltro l'istituto elvetico non è neppure esente da altri problemi, visto che ha subito una perdita di 38,2 miliardi di franchi nel primo trimestre, proprio a causa della turbolenza sui mercati finanziari. Infatti le sue posizioni in valuta estera hanno subito una perdita di 41,2 miliardi.

Il franco troppo forte

Nonostante la parziale contrazione registrata negli ultimi giorni, frutto del rinnovato appetito al rischio che ha fatto seguito all'allentamento dei lockdown, il franco rimane particolarmente forte rispetto a tutte le principali divise, come si può vedere sulle app trading con bonus senza deposito. Questo tiene sull'allerta a BNS.

Averi a vista a livelli record

Va precisato che la Banca centrale elvetica non comunica mai apertamente se sta operando sul mercato in un determinato momento, e tantomeno in che modo. Di sicuro tra le opzioni per contenere l’apprezzamento, vi è quella di vendere. Un dato però lo abbiamo. Gli averi a vista delle banche svizzere presso la BNS sono arrivati a 673 miliardi di franchi. Si tratta di numeri mai visti, aumentati per la 18esima settimana di seguito. Questo aumento è dovuto anche alla liquidità che la BNS sta fornendo al sistema bancario per la concessione di crediti alle aziende, così da stimolare l'economia. Ma nonostante i suoi sforzi, il cambio per adesso rimane molto elevato, con inevitabili conseguenze per le esportazioni.

lunedì 18 maggio 2020

Crisi economica, il fondo UE per combattere il Covid in ostaggio di 5 Paesi

Il maggiore ostacolo al Recovery Fund (che ora si chiama Recovery Initiative) è un gruppetto piccolo di paesi che hanno un peso piccolo - dal punto di vista economico e demografico - nella UE. Vogliono che il sostegno comunitario per combattere la crisi economica sia il più ridotto possibile. Mentre altri Paesi colpiti in modo durissimo dalla pandemia (come l'Italia), spingono invece per ottenere un sostegno maggiore possibile dalla UE.

Le diverse vedute sulla lotta alla crisi economica

Il gruppetto ostativo è composto da Olanda, Austria, Danimarca, Finlandia e Svezia. Sono elencate in ordine di intransigenza. Da questi Paesi sono partiti i maggiori veti per rendere meno corposo possibile il Recovery Initiative. Se li mettiamo assieme, non riescono a raggiungere la popolazione dell'Italia. Sempre se considerati assieme, non rappresentano neppure un decimo della UE. E sono a malapena un sesto del suo reddito.

Ma si sono messi di traverso, armati di profonda intransigenza, e dopo essere riusciti a tenere il Recovery Initiative sotto i 1000 miliardi, stanno pure sfilacciando il tessuto che era già stato cucito. Il tutto mentre la UE fa i conti con una recessione record.

La battaglia delle cifre

I cinque Paesi nordici sono impegnati a ridurre l'importo del pacchetto europeo per combattere la crisi economica. Vogliono che alla fine non superi i 350 miliardi di euro. Un terzo di quello che i paesi più colpiti invece spingevano inizialmente per avere (quei mille miliardi di aiuti che la Germania sta dando alle proprie imprese). Tra questi Francia, Italia, Spagna, Portogallo, Grecia, Cipro. Adesso il compromesso si aggirerà sui 700-800. Tuttavia questo è quello che verrà inserito nella proposta di von der Leyen, sapendo che dovrà essere ritoccato al ribasso proprio per colpa dell'ostracismo dei Paesi nordici.

Il nuovo piano di aiuti dovrebbe essere illustrato dalla von der Leyen a fine maggio, poi ci saranno negoziati al ribasso fra governi il mese prossimo. Serviranno almeno due vertici dei leader dei Paesi, di cui il primo il 18 giugno. Da Roma e Parigi sono già iniziate le operazioni di pressioni sulla von der Leyen, affinché non presenti una proposta troppo timida, sapendo che l'importo di questo piano verrà negoziato al ribasso durante i negoziati di giugno.

giovedì 14 maggio 2020

Mercato del greggio in ripresa, ma sul futuro pesano ancora tante incertezze

Nonostante i piccoli recenti spiragli di luce, il mercato del greggio continua ad essere avvolto da dubbi e incertezze. Dopo il tracollo dei prezzi durante il mese scorso, l'OPEC s'è data da fare per contrastare l'enorme surplus che s'è creato. Colpa di un'offerta cronicamente troppo alta, e di una domanda che è improvvisamente precipitata a causa del Covid.

La ripresa del mercato del greggio

Come detto però, negli ultimi 15 giorni il mercato del greggio è tornato ad avere un po' di respiro. La risalita delle quotazioni prosegue, sia pure a fasi alterne. Si sta sentendo da una parte lo sforzo dei produttori, che ad aprile hanno concordato un maxi taglio di 9,7 milioni di barili al giorno. Dall'altro si sente l'effetto della progressiva ripresa delle economie, dopo l'allentamento delle misure di lockdown. L'ultimo slancio di ottimismo lo hanno dato i report sulle scorte di petrolio negli USA, che sono inaspettatamente scese per la prima volta in 15 settimane.

Sul mercato questa situazione si riflette nei prezzi in aumento. Il Brent è infatti tornato a varcare la soglia dei 30 dollari, mentre il WTI ha rimesso il muso oltre quota 25. I parametri Supertrend indicatore dicono inoltre che la spinta al rialzo dovrebbe proseguire ancora.

Consiglio: il mercato del greggio è fortemente connesso a quello delle valute. Per cui chi vuole negoziare l'oro nero, farebbe bene a studiare anche le tecniche di trading intraday forex.

Quanti problemi ci sono ancora

Tuttavia, i problemi sotto tutt'altro che risolti. Il quadro complessivo del mercato è ancora incerto. I tagli concordati dall'OPEC+, benché corposi non sono sufficienti a compensare l'enorme crollo della domanda. Secondo Goldman Sachs il calo provocato dalla pandemia è di circa 16 milioni di bpd. I tagli record dell'OPEC+ arrivano solo a 9,7 milioni. Lo stesso cartello dei Paesi produttori ha detto di aspettarsi un calo complessivo nel 2020, pari a 9,07 milioni di barili al giorno. In sostanza, questo ammontare di tagli bisognerebbe prorogarlo fino a fine anno per vedere dei seri benefici.

Il tutto passa poi per la ripresa economica. Powell - il numero uno della FED - ha avvertito che gli USA vivranno un "periodo prolungato" di debole crescita economica. Insomma il rilancio delle economie mondiali (e quindi la richiesta di carburante al mercato del greggio) sarà un processo lento e faticoso. Aspettiamoci quindi ancora diversi mesi di pressione sui prezzi dell'oro nero.

martedì 12 maggio 2020

Imprese della moda in crisi nera. A rischio un settore cruciale del nostro export

L'impatto del coronavirus sulle imprese del settore moda è stato pesantissimo. Si valuta un crollo del fatturato di circa il 36,2% a causa delle misure di lockdown che hanno paralizzato l'attività (rilevazioni Confindustria). Non solo a livello interno, ma anche sul fronte internazionale. Roba pesante per un settore di punta del nostro export.

Il contraccolpo sul settore moda

Quando si parla di sofferenza del settore, bisogna includere l'intera filiera. Si tratta cioè di un sistema complesso di imprese che sono interconnesse tra loro. Le sofferenze di una si ripercuotono su tutte. Specie su quelle di piccole dimensioni. Nel caso del settore moda sono le aziende dell'oreficeria (per gli accessori), le pelliccerie o le pelletterie. In questo ambito infatti prevalgono proprio le piccole e le piccolissime imprese artigianali. I problemi dureranno ancora per diversi mesi, tenuto conto del forte calo degli ordini.

Il crollo degli ordini

Le grandi imprese invece riguardano soprattutto l'abbigliamento, dove ci sono i brand noti nel mondo. Anche per loro l'impatto è stato forte, ma riassorbibile in modo più o meno veloce. Solo il 9% di esse ha sofferto una diminuzione degli ordini superiore al 50%. L'altra metà si è tenuta sotto il 20%. Le crisi sono così. Colpiscono tutti ma non in modo uguale. I più grandi resistono meglio, i piccoli invece soffrono molto di più. E necessitano per forza di un aiuto per venirne fuori.

Mezzo milione di occupati da salvare

Non è cosa di poco conto, visto che le imprese del settore moda sono cruciali per la nostra economia. L'intera filiera raggiunge i 96 miliardi di euro di fatturato. L'export assorbe il 65% della produzione, mentre il saldo commerciale è di 28 miliardi, con 580mila occupati diretti. Tenuto conto che la maggior parte di essi è impiegato in aziende di piccola e piccolissima dimensione, si comprende quanto sia serie la situazione. Non a caso la richiesta più forte di ossigeno finanziario e ammortizzatori sociali, è giunta proprio da loro.

venerdì 8 maggio 2020

Crisi finanziaria, la Turchia rischia di rivivere la stessa estate di due anni fa

La Turchia rischia seriamente di ripetere un'estate come quella vissuta due anni fa. Per chi non lo ricordasse, ci fu una crisi finanziaria che travolse, spingendo la Lira verso una svalutazione pesantissima e alimentando in modo clamoroso l'inflazione.

Ankara e la crisi finanziaria

Il segnale che qualcosa di pericoloso sta per accadere arriva proprio dal cambio con il dollaro. Ieri la Lira turca è arrivata a scambiare fino a 7,49 contro il biglietto verde, aggiornando il suo minimo storico. C'è voluto un altro (l'ennesimo) intervento della Banca centrale Turca per raddrizzare la situazione. Ma queste "pezze" che ogni tanto deve mettere l'istituto centrale per evitare una crisi finanziaria costano tanto, in termini di riserve valutari. Secondo gli ultimi calcoli, risultano scese ad appena 25 miliardi di dollari. Una miseria se si pensa che il Paese è esposto verso l'estero per circa 170 miliardi.

La fuga di capitali dalla Turchia

Quest'anno la Lira turca ha peso circa il 17% contro la valuta americana. In due anni praticamente il valore si è dimezzato (-45%). Le previsioni sono terribili, insomma nulla a che vedere ad esempio con le previsioni franco svizzero euro. Questo clima sta facendo scappare i capitali dalla Turchia, a maggior ragione adesso che la crisi finanziaria ed economica è aggravata dal Coronavirus. Nel frattempo la banca centrale ha tagliato i tassi fino all’8,75%, e tenuto conto che l'inflazione rimane oltre il 10%, i tassi d’interesse turchi sono nettamente negativi. Questo agevola l'ulteriore deflusso dei capitali, e l'ulteriore assottigliamento delle riserve valutarie.

Suggerimento: fare trading ad alta intensità richiede un'ottima interfaccia di negoziazione. Bisogna quindi scegliere la migliore piattaforma per scalping forex, prima di operare sul mercato real.

Un mix esplosivo

Una situazione esplosiva quindi, diventa tale per via degli squilibri strutturali della bilancia commerciale turca. Troppe importazioni (il saldo commerciale segna un rosso del 5,2% rispetto al pil), che costringono l'economia turca ad attirare capitali per finanziare il suo import. Senza di essi, deve intaccare le riserve valutarie.

Per arginare questo circolo vizioso, Ankara ha costretto le banche ad adottare una serie di misure restrittive, che impediscono di scambiare le lire in euro, dollari, etc. Il meccanismo però prima o poi porta i nodi al pettine. E con la crisi innescata da Covid, la sfiducia verso la Turchia è cresciuta, e si rischia una nuova tempesta finanziaria. All'epoca la banca centrale fu costretta ad alzare i tassi fino al 24% per arrestare l’attacco speculativo contro la lira.

mercoledì 6 maggio 2020

Prezzo della RC Auto in calo con il lockdown. Risparmi fino a 100 euro

Tra i tanti danni dovuti alla pandemia da Covid, ci sono anche delle notizie positive per le tasche degli italiani. Il prezzo della RC Auto, l'assicurazione dei veicoli, infatti è sceso notevolmente durante questo periodo, a causa delle misure di lockdown e del conseguente blocco agli spostamenti.

Il calo del prezzo della RC Auto

Secondo le ultime rilevazioni infatti, il costo dell'assicurazione è sceso di oltre il 15% ad aprile (rispetto allo stesso mese dell'anno precedente), dopo aver segnato un -8,05% a marzo. Ragionando su valori assoluti, questo vuol dire che in media il prezzo della RC Auto è sceso a 463,74 euro. Circa 82 euro in meno rispetto ad aprile 2019. Certo, non basterà a tirare su il morale di fronte ai numeri choc di questa emergenza (basta pensare ai numeri sull'occupazione), ma almeno è qualcosa.

Andamento regionale RC Auto

Dal punto di vista territoriale, benché il calo sia diffuso in tutte le Regioni, c'è chi ne beneficia di più e chi meno. Si va infatti -20,98% rilevato in Toscana, al -10,95% che c'è in Basilicata. In valori assoluti il calo forte lo segna la Campania, che in soli 30 giorni ha visto scivolare il premio del 12,52%, ovvero quasi 100 euro. Il prezzo medio scende così a 823,93 euro. In Calabria si è passati da -2,4% su base annua di marzo 2020 a -11,83% di aprile 2020; vale a dire 62 euro in meno in soli trenta giorni, con un premio medio sceso a 582,78 euro.

Rincaro in vista dopo Covid

Ovviamente non si potrà fare festa a lungo. Lo straordinario calo dei prezzi è infatti legato alle misure di lockdown, e quindi al drastico calo dei veicoli in circolazione e dei sinistri stradali. Questi due parametri sono le basi su cui viene ricalcolato il premio da parte delle compagnie. Fortunatamente torneremo alla normalità, ma questo significa che i prezzi riprenderanno a salire perché crescerà il numero di veicoli in circolazione, e con esso quello dei sinistri. Per questo chi ha una polizza in scadenza farebbe bene ad approfittarne e rinnovare ora, anche se il veicolo non viene utilizzato, mettendosi al riparo da futuri aumenti.

lunedì 4 maggio 2020

Prezzo dell'oro destinato ancora a crescere? Gli analisti puntano a quota 1900

La diffusione della pandemia ha contribuito a tenere vigoroso il prezzo dell'oro. Il metallo giallo ha beneficiato nell'ultimo anno e mezzo della crisi commerciale tra USA e Pechino. Finita quella, è scoppiato subito il caos coronavirus. Il risultato è che l’oro ha continuato a marciare forte nel 2020. Da inizio anno il bilancio dice che guadagnato oltre il 10%.

Tassi reali e prezzo dell'oro

Attualmente il prezzo è superiore ai 1.730 dollari l'oncia, e si muove dentro un rettangolo trading di continuazione. Un livello altissimo, che secondo alcuni analisti potrebbe addirittura crescere ancora nei prossimi mesi, raggiungendo almeno il livello di 1.900. Non è soltanto questione di "safe haven", ovvero del fatto che l'oro sia un bene rifugio e in quanto tale molto richiesto in situazioni di crisi. Ci sono altre tre ragioni sostanziali alla base di queste previsioni ottimistiche sul prezzo dell'oro.

La prima è riconducibile alla dinamica dei tassi reali. Quando sono negativi - come adesso - il prezzo dell'oro riceve una spinta verso l’alto. Infatti l’oro reagisce male quando i treasury (i titoli di stato americani) hanno rendimenti forti, ma riceve un forte impulso quando i rendimenti sono bassi. Attualmente i tassi reali sono a circa il -1,5%. Secondo gli esperti, questo potrebbe portare a una salita del 10-20% del prezzo dell'oro.

Nota tecnica: un passaggio fondamentale da compiere prima di procedere ad investimenti sul mercato, è quello di conoscere bene i concetti di Broker stp o ecn differenze.

Il debito USA e la recessione imminente

C'è un altro fattore importante che supportano il metallo prezioso. Si tratta del forte debito americano. Al momento gli USA hanno accumulato un debito di 24 trilioni di dollari, senza che siano ancora contabilizzati gli interventi a seguito del coronavirus. Il bilancio quindi è destinato a peggiorare drasticamente. Statisticamente c'è una forte correlazione tra la crescita del debito federale americano e il prezzo dell'oro. Ragion per cui dovremmo assistere a un mercato ancora tonico per il metallo giallo.

L'ultimo fattore è la recessione economica in arrivo. Ogni volta che se ne verifica una, mentre si assiste al declino del mercato azionario, si assiste a un parallelo sprint del metallo giallo. Molti hanno calcolato che questo guadagno è pari al 50% rispetto alla discesa del mercato azionario. In pratica se lo S&P500 scende del 20%, l'oro potrebbe aumentare del 10% nel breve termine.