mercoledì 30 gennaio 2019

Export agroalimentare italiano minacciato dalla hard Brexit

C'è un settore economico italiano che trema di fronte alla Brexit. E' quello agroalimnetare, che rischia di vedere un drastico calo del proprio export.

La Brexit e i danni all'export

In particolare, lo scenario maggiormente temuto è quello di una Brexit disordinata, ovvero senza accordo. Perché genererebbe un mercato dove scatterebbero le regole del WTO (l'Organizzazione mondiale del commercio) con dazi e controlli alle frontiere. Cose che non solo aumentano i prezzi e riducono la competitività dei beni esportati, ma ostacolano anche dal punto di vista burocratico l'export stesso. Senza considerare che trattandosi di beni deperibili, anche poche ore di differenza per compiere il tragitto Italia-Regno Unito fanno enormemente la differenza.

A tutto questo va aggiunta poi la probabile svalutazione della sterlina in caso di hard Brexit. Questo comporterebbe un costo maggiore dei beni importati per i londinesi, e ovviamente una minore competitività di chi fa export verso il paese britannico. Tanta roba, visto che il 30% dei consumi alimentari nel Regno Unito deriva da prodotti importati dalla UE.

Il dibattito a Londra

Per questo motivo i vertici del settore agroalimentare stanno seguendo con attenzione il dibattito su Brexit, che è ripartito alla Camera dei Comuni di Londra. Il voto del 15 gennaio scorso ha bocciato l'intesa che la May aveva raggiunto con Bruxelles verso la fine del 2018. Il tempo a disposizione però stringe. L'uscita di Londra dalla UE è prevista il 30 marzo. In quel giorno il Regno Unito diventerà un paese terzo e gli scambi commerciali con gli Stati membri saranno sottoposti a dazi e controlli alle frontiere.

Senza dubbio il commercio di prodotti agroalimentari è tra i capitoli più delicati della partita su Brexit. Il “Made in Italy” agroalimentare piazza sul mercato britannico quasi 3,5 miliardi di euro l’anno di prodotti. Alcuni di questi, come Prosecco, Parmigiano Reggiano e Grana Padano, incidono tra il 10 e il 40% sul fatturato complessivo da export delle nostre aziende. Per questo motivo la Brexit fa tremare soprattutto loro.

lunedì 28 gennaio 2019

Rendimenti dei titoli di Stato, il board della BoJ si spacca

Dai verbali dell'ultimo meeting di politica monetaria della Bank of Japan (19-20 dicembre scorso) emergono dei disaccordi tra i membri del board nipponico. A dividere le opinioni è il livello dei rendimenti dei titoli di Stato.

Rendimenti e non solo

A dicembre l'istituto giapponese aveva confermato il tasso di interesse negativo (-0,10%), nonché l'aggressivo piano d'espansione della base monetaria, portato a 80.000 miliardi di yen l'anno (641 miliardi di euro al cambio attuale) nell'ottobre del 2014. Tuttavia c'è stato dissenso sui rendimenti dei titoli di Stato. Un membro del board era favorevole al temporaneo scivolamento del rendimento sotto lo zero, un altro che dovrebbero invece essere più elevati per alleggerire il carico sul sistema finanziario, un altro ancora che intervenire sul mercato comporterebbe una stretta per la politica monetaria. Insomma, il quadro è abbastanza eterogeneo.

Al di là delle divergenze sui rendimenti dei titoli di Stato, i membri della BoJ presenti alla riunione hanno identificato alcuni fattori da monitorare alla luce del rallentamento dell'economia globale. E' soprattutto la guerra commerciale USA-Cina ad interessare (ha già causato il peggior dato sull'export in due anni). La speranza è che le due super-potenze trovino una pace, cosa che aiuterebbe il ​​Giappone a riprendere slancio economico. Altrimenti, la guerra commerciale lascerà il segno nell'economia giapponese. Che intanto ha i suoi bei problemi da affrontare. L'inflazione, sebbene sia andata meglio del previsto, rimane lontanissima dal target e pochi giorni fa per la quarta volta consecutiva la BoJ ha dovuto rivedere al ribasso le stime.

Suggerimento: affinate sempre le vostre tecniche di trading. Qui è illustrata la strategia EMA Media mobile Stocastico.

La valuta giapponese

Nel frattempo sembra anche essersi esaurito il buon momento dello Yen. Come è possibile vedere sui siti trading affidabili autorizzati. Da due settima la valuta giapponese ha perso quota contro il dollaro (-1,2%), e si sta riavvicinando alla soglia psicologica di 110,00. Pesano il downgrade delle previsioni di inflazione della Bank of Japan, e il mantenimento della sua politica monetaria accomodante. Questa settimana ci saranno i dati sugli NFP, la riunione politica della Fed e la dichiarazione FOMC.

venerdì 25 gennaio 2019

Costi dello shutdown USA sono arrivati alla cifra per la costruzione del muro col Messico

Il Senato USA allunga la durata dello shutdown, e crescono anche i suoi costi. Ha infatti bocciato i due provvedimenti che (anche singolarmente) avrebbero potuto sbloccato la paralisi parziale degli uffici federali.

Costi e problemi dello shutdown

E invece lo shutdown più lungo e costoso della storia - giunto al 35esimo giorno - va ancora avanti, andando ad abbassare il gradimento verso il presidente Trump. Siamo ormai al 34%, dopo un crollo di 10 punti. Probabilmente proprio per questo lo stesso Trump si sta muovendo in prima persona per raggiungere una intesa anti-shutdown, che però non abbia il sapore del dietrofront sulla questione muro col Messico. Ricordiamo infatti che il blocco federale è scattato perché il congresso non ha voluto coprire i 5,7 miliardi di costi per finanziare il muro con il Messico.

La cosa bizzarra è che secondo alcuni conteggi, il costo dello shutdown è pari a quello per il muro stesso. Lo sostiene S&P Global: i costi si aggirano proprio sui 5,7 miliardi di dollari. Ad oggi. Perché se dovesse ancora protrarsi il blocco, finirebbe per costare molto di più della spesa per cui è stato posto in essere. C'è anche altro. La CNN riporta una confidenza del consigliere economico numero uno di Trump, Kevin Hassett, secondo la quale uno shutdown prolungato fino a tutto il primo trimestre, azzererebbe la crescita statunitense.

Le conseguenze sull'economia

E mentre tra gli 800 mila dipendenti federali che non stanno ricevendo la paga da due mesi, aumentano quelli che si riciclano come insegnante, istruttore di yoga, corriere espresso e anche autista di Uber, sembra che la Casa Bianca stia preparando una bozza di proclamazione dello stato di emergenza nazionale al confine col Messico. Questo consentirebbe di ottenere fondi (oltre 7 miliardi di dollari) da destinare alla costruzione del muro, scavalcando il Congresso e ponendo così fino allo shutdown.

Riguardo i 7 miliardi di dollari di costi, circa 3,6 miliardi arriverebbero da fondi per le costruzioni militari, 3 miliardi dai fondi del Pentagono per le opere pubbliche, 681 milioni dai fondi non spesi del Tesoro, 200 milioni dai fondi del dipartimento per la sicurezza nazionale. Se la dichiarazione sarà proclamata saranno dispiegati al confine con il Messico gli uomini del genio militare per la costruzione del muro.

mercoledì 23 gennaio 2019

Bank of Japan immobile ancora una volta. Yen in calo

In Giappone resta tutto fermo come venne deciso a gennaio 2016. Anche l'ultimo meeting di politica monetaria della Bank of Japan (BoJ) non regala sorprese. I tassi d'interesse rimangono fermi allo 0,10%, ovvero in quel territorio negativo dove furono portati con una mossa senza precedenti 3 anni fa.

La mossa della Bank of Japan

I mercati non si aspettavano nulla di diverso, visto che 49 dei 50 componenti del consensus di Bloomberg si attendevano proprio una conferma del costo del denaro. Alla fine il board dell'istituto centrale nipponico ha deciso con 7 voti favorevoli e 2 contrari (Goushi Kataoka e Yutaka Harada). La Bank of Japan ha pure conservato l'aggressivo piano d'espansione della base monetaria, portato a 80.000 miliardi di yen l'anno (642 miliardi di euro al cambio attuale) nell'ottobre del 2014.

La Banca centrale giapponese ha rivisto al ribasso le stime di crescita dei prezzi al consumo per la quarta volta consecutiva. Nell'esercizio 2019 (in avvio il prossimo 1° aprile) l'inflazione è infatti attesa allo 0,9% (contro l'1,4% stimato in precedenza), mentre è stato abbassato dall'1,5% all'1,4% l'outlook per l'anno fiscale 2020. Inoltre la BoJ ha evidenziato i crescenti rischi dell'economia, legati all'indebolimento della domanda globale, alla guerra dei dazi tra USA e Cina (che hanno causato il peggior dato sull'export in due anni) e la Brexit. Tenuto conto di tutto ciò, secondo la Bank of Japan l'economia nipponica continuerà ad espandersi ad un ritmo moderato fino al 2020.

Suggerimento: non focalizzatevi soltanto sui grafici a candele. Qui ad esempio è spiegata la strategia Ichimoku Kinko Hyo segnali.

Dati macro e Yen

Per quanto riguarda i dati macroeconomici del Giappone, il deficit commerciale è sceso da 0,48 trilioni di novembre a 0,18 trilioni di yen a dicembre rispetto al divario previsto di 0,29 trilioni di yen. Gli indici di tutte le attività industriali sono diminuiti dello 0,3% a novembre, dopo un aumento del 2,1% in ottobre, in linea con le attese.

Sul fronte valutario, chi sta adottando una strategia media mobile RSI ha notato una certa fiacchezza dello Yen, che sta perdendo quota contro il dollaro, ma in modo lieve tenuto conto che la mossa della BoJ era ampiamente attesa e prezzata dai mercati. La coppia USD / JPY ha guadagnato da 109,36 a 109,62 nel mattino, mentre l'EUR / JPY avanza da 124.24 a 124.57. La coppia GBP / JPY è salita da 141,65 a 142,39.

lunedì 21 gennaio 2019

Ricchezza e povertà, si amplia il divario tra le popolazioni del mondo

La ricchezza è una questione per pochi, e si amplia sempre più il divario tra chi ha tanto e ci non ha nulla. Ecco quanto emerge da uno studio di Oxfam, la confederazione internazionale di organizzazioni non profit che lottano contro la povertà globale, attraverso aiuti umanitari e progetti di sviluppo.

I numeri di ricchezza e povertà

Dallo studio che viene pubblicato ogni anno prima del forum di Davos (World economic forum), emerge che nel decennio seguito alla grande crisi finanziaria, i miliardari sono raddoppiati. Si è infatti passati da 1.125 a 2.208. Ma non si può certo parlare di democratizzazione dei redditi, visto che dopo il primo semestre del 2018, il 20% più ricco possedeva il 72% del patrimonio totale, pari complessivamente a 8.760 miliardi di euro. Il 60% più povero ha appena il 12,4% della ricchezza nazionale. Da noi inoltre il 5% dei ricchi possiede la stessa ricchezza posseduta dal 90% più povero. Inoltre i primi 21 miliardari italiani della lista Forbes, hanno 107 miliardi di euro, la stessa cifra del 20% più povero della popolazione.

Trend preoccupante

Continua peraltro ad ampliarsi la divergenza tra i fortunati e i meno fortunati. La ricchezza dei 1.900 miliardari più ricchi, infatti, nel corso dell'anno che va da marzo 2017 a marzo 2018, è aumentata di più di 900 miliardi di dollari. La parte più povera del pianeta invece ha visto diminuire la sua quota di ricchezza dell’11%. E' scioccante sapere che i 26 uomini più ricchi del pianeta hanno la stessa ricchezza della metà più indigente della popolazione mondiale. Tutto ciò è anche conseguenza della riduzione del peso fiscale sui super-ricchi, specie a causa del taglio delle tasse Usa voluto da Trump. Dal 62% che si registrava nel 1970, l’aliquota massima dell’imposta sui redditi nei paesi sviluppati è scesa al 38% del 2013 (peraltro la ricerca mette in evidenza che le donne in media guadagnano il 23% in meno rispetto agli uomini, che possiedono il 50% in più della ricchezza e controllano oltre l’86% delle aziende).

Se i ricchi sono sempre più ricchi, spaventa ancora di più il fatto che la povertà estrema sia tornata a salire. Se tra il 1990 e il 2015 c'era stata una forte riduzione, il numero di coloro che oggi vivono con meno di 1,90 dollari al giorno è cresciuto. Una triste verità che riguarda soprattutto l’Africa subsahariana. Ci sono 3,4 miliardi di persone che vivono con meno di 5,50 dollari al giorno, mentre 10mila persone al giorno muoiono per mancanza di accesso ai servizi sanitari e 262 milioni di bambini non possono andare a scuola.

giovedì 17 gennaio 2019

Rischio debole sui mercati finanziari, lo Yen ne approfitta

Il clima di avversione al rischio che si respira sui mercati, ha dato - tra alti e bassi - lo slancio allo Yen giapponese. Nell'ultimo mese la valuta nipponica ha guadagnato oltre 3 punti percentuali contro il dollaro e contro l'euro.

Lo Yen e il clima di rischio

Sui mercati si guarda con preoccupazione alla Cina. La crescita della seconda economia mondiale infatti sta chiaramente rallentando. Se a questo si aggiunge la perdurante tensione sui dazi tra USA e Cina, la prospettiva di una FED molto più cauta in futuro e le incertezze sempre crescenti riguardo alla Brexit, ecco un quadro inevitabilmente poco propenso a stimolare l'appetito al rischio. Quadro nel quale lo yen, tipica valuta rifugio, sta ottenendo grandi benefici. Non a caso i migliori segnali di trading gratis sicuri suggeriscono di puntare sulla valuta nipponica nel medio-breve periodo.

La coppia USD / JPY da metà dicembre è precipitata da quota 113 fino a 107, prima di operare un rimbalzo verso i 108-109. Di recente ha toccato i massimi di due settimane, ma i "tori" non sono riusciti a reggere quota 109 proprio per la nuova ventata di avversione al rischio (chi conosce l'indicatore MACD come funziona, avrà colto il segnale ribassista).

La Bank of Japan e Kuroda

Nel frattempo, la Bank of Japan continua a confermare i tassi d'interesse al -0,10%, livello raggiunto a gennaio 2016. La BoJ continua a vedere un'economia giapponese in "moderata espansione", con special riguardo alle esportazioni e alla domanda interna. Il problema resta l'inflazione ostinatamente bassa e ben distante dal target del 2%. Proprio questo ha costretto finora la BoJ a mantenere un programma di stimolo radicale. La Banca centrale dovrebbe peraltro ridurre le sue previsioni sull'inflazione nella revisione della prossima settimana.

Intanto Haruhiko Kuroda, governatore della BoJ, ha dichiarato che le banche centrali devono valutare con cura l'impatto delle misure di politica monetaria non convenzionali, in quanto i loro benefici ed effetti collaterali potrebbero differire da quelli generati dalle politiche convenzionali.

martedì 15 gennaio 2019

Debito pubblico, nuovo record storico a novembre: 2345 miliardi

Tocca nuovi record il debito pubblico italiano, che continua a crescere mese dopo mese. Secondo l'ultima rilevazione di Banca d'Italia, a novembre le amministrazioni pubbliche hanno accumulato 10,2 miliardi di debiti in più rispetto al mese precedente, portando così la cifra complessiva a 2.345,3 miliardi (a novembre 2017 era pari a 2.263 miliardi). Si tratta del nuovo record assoluto, che supera quello precedente registrato a luglio 2018.

I dati sul debito pubblico

Nel Supplemento al Bollettino Statistico "Finanza pubblica, fabbisogno e debito", si evidenzia che questo incremento di debito è servito a finanziare il fabbisogno del mese (5,8 miliardi) e l’aumento delle disponibilità liquide del Tesoro (3,3 miliardi, a 51,9). La Banca d'Italia ha pure precisato che l'effetto complessivo degli scarti e dei premi all’emissione e al rimborso, la rivalutazione dei titoli indicizzati all’inflazione e in ultimo la variazione dei tassi di cambio hanno determinato a novembre un incremento del debito pubblico italiano di 1,2 miliardi di euro.

Se si esamina la ripartizione del debito pubblico per sottosettori, si evidenza come quest'aumento del debito sia stato sostanzialmente provocato dalle amministrazioni centrali. Il debito delle amministrazioni locali e quello degli enti di previdenza infatti sono rimasti pressoché invariati.

Le entrate tributarie

Nello stesso documento di via Nazionale, oltre all'aggiornamento sul debito pubblico vengono anche forniti i nuovi dati sulle entrate tributarie contabilizzate nel bilancio dello Stato. A novembre tasse e imposte sono state pari a 39 miliardi, con un aumento dell'8,7% anno su anno. Banca d'Italia ha precisato che l'aumento riflette anche il versamento dell’acconto dell’imposta sulle assicurazioni, che la legge di bilancio per il 2018 aveva posticipato da maggio a novembre. Nei primi undici mesi del 2018 le entrate tributarie sono state pari a 378,7 miliardi, registrando un incremento dell'1% rispetto al dato del 2017.

venerdì 11 gennaio 2019

Yuan sempre più legato alla guerra dei dazi USA-Cina

Cresce l'ottimismo riguardo ai negoziati sul commercio tra USA e Cina, e questo alimenta la propensione al rischio sulle piazze asiatiche, dando al contempo una bella spinta allo Yuan cinese.

La guerra dei dazi e lo yuan

Ai colloqui tra i due Paesi che si sono tenuti nella capitale cinese dal 7 al 9 gennaio, hanno fatto seguito le parole del segretario al Tesoro statunitense Mnuchin sulla possibilità che il vice-premier cinese Liu He si rechi negli Stati Uniti a fine mese. Tutto questo ha riacceso l'ottimismo sui progressi tra Pechino e Washington, anche se gli investitori non si attendono una completa risoluzione della vicenda in tempi brevi. Tuttavia ciò è bastato per spedire (venerdì scorso) le borse regionali a massimi di 5 settimane, mentre chi adotta strategie e tecniche di trading intraday forex avrà notato che lo yuan (sia CNY onshore che CNH offshore) ha toccato i massimi da fine luglio rispetto al suo pari americano.

La debolezza del dollaro

Nel commercio onshore, la valuta cinese è aumentata dell'1,8% questa settimana (è sceso di circa il 6% l'anno scorso). Si tratta del più grande guadagno dal luglio 2005 (quando Pechino slegò la sua valuta da quella statunitense legandosi ad un paniere di valute estere diverse).Il calo dell'USD / CNY è altresì imputabile alla generalizzata debolezza del biglietto verde, dopo le parole prudenti di Powell circa il futuro percorso di rialzo dei tassi USA. Dalle minute dell'ultimo meeting della FED, è emerso che la banca centrale americana può permettersi di aspettare e vedere come evolverà lo scenario economico durante l'anno, prima di prendere decisioni ulteriori sul costo del denaro. Atteggiamento tipicamente da "colomba".

Suggerimento: prima di fare investimenti sulle valute, studiate alcune tecniche. Ad esempio la strategia bande di Bollinger e Rsi a breve.

Lo stato di salute dell'economia cinese

Va anche aggiunto che il reminbi (yuan) non ha apparentemente risentito di alcuni aspetti preoccupanti riguardanti l'economia cinese. Anzitutto l'indebolimento dell'inflazione, che è scesa all'1,9% annuale (il target fissato dalla PBOC è del 3%), peggio delle previsioni (mentre i prezzi alla produzione sono saliti al tasso più lento da due anni). In secondo luogo il recente indebolimento dell'indice manifatturiero, sceso a 49,7 in zona recessione dopo un anno e mezzo. Infine le prospettive più fosche sul PIL (che hanno indotto il Governo a studiare nuovi stimoli economici). Segnale evidente che gli investitori danno la massima priorità alle questioni legate alla guerra dei dazi con gli USA, trascurando al momento la possibilità che nel 2019 la PBOC possa essere costretta a misure di stimoli molto radicali, come il taglio dei tassi d’interesse di riferimento.
A tal proposito va rimarcato come un sondaggio Reuters ritiene che lo yuan si indebolirà a 7 per dollaro entro sei mesi, nonostante gli sforzi delle autorità cinesi per difendere la sua valuta.

mercoledì 9 gennaio 2019

Antitrust, duro colpo ai "furbetti" della vendita auto: sanzioni per 678 milioni

Una maxi-sanzione da circa 678 milioni di euro è andata a colpire molti dei principali operatori attivi nel settore delle vendite di automobili. Lo ha comunicato l'Authority antitrust tramite una nota che illustra le conclusioni di una istruttoria aperta nei confronti delle principali captive banks e dei relativi gruppi automobilistici operanti in Italia nel settore della vendita di autoveicoli mediante prodotti finanziari, nonché delle relative associazioni di categoria.

L'istruttoria dell'antitrust

Secondo l'antitrust, gli operatori avrebbero dato vita a un vero e proprio cartello, creando così una alterazione della concorrenza. I fatti si sarebbero verificati per un lunghissimo periodo di tempo, ovvero tra il 2003 e il 2017. I soggetti coinvolti sono Banca PSA Italia S.p.A., Banque PSA Finance S.A., Santander Consumer Bank S.p.A., BMW Bank GmbH, BMW AG, Daimler AG, Mercedes Benz Financial Services Italia S.p.A., FCA Bank S.p.A., FCA Italy S.p.A., CA Consumer Finance S.A., FCE Bank Plc., Ford Motor Company, General Motor Financial Italia S.p.A., General Motors Company, RCI Banque S.A., Renault S.A., Toyota Financial Services Plc., Toyota Motor Corporation, Volkswagen Bank GmbH, Volkswagen AG., nonché le associazioni di categoria Assofin ed Assilea.

Il meccanismo illecito

Quello che è accaduto concretamente, viene spiegato nelle 114 pagine del provvedimento dell’Antitrust. L'autorità definisce i fatti come un un “pervasivo e regolare scambio di informazioni, bilaterale e multilaterale, anche in sede associativa,avente a oggetto le politiche commerciali delle parti relative alle condizioni economiche e contrattuali applicate ai concessionari e ai consumatori finali". Le condizioni economiche sulle quali ci si metteva d'accordo erano "tasso base, TAN, TAEG, le spese applicate agli acquirenti nonché i volumi dei prodotti finanziari collocati, tramite contatti bilaterali e multilaterali”.

Questo sistema è stato smascherato solo grazie alla collaborazione della finanziaria di Mercedes Daimler, che assieme a Mercedes Benz Financial Services Italia S.p.A ha presentato domanda di clemenza. Proprio queste due società hanno ottenuto il beneficio dell’immunità totale dalla sanzione.

lunedì 7 gennaio 2019

Fed molto cauta, si vedono ancora gli effetti sul dollaro USD

La prima settimana "piena" del 2019 del dollaro è cominciata all'insegna del calo. Si è avvertita sui mercati la pressione innescata dalla FED, che potrebbe interrompere o frenare il suo ciclo di rialzo dei tassi d'interesse. Tutto questo ha messo invece le alti all'euro e al franco, che portano guadagni contro il biglietto verde.

FED e dollaro

Malgrado i robusti dati sul lavoro USA resi noti a fine settimana scorsa, gli analisti ritengono che la più grande economia del mondo stia perdendo slancio. I recenti commenti del presidente della Fed Jerome Powell hanno aggiunto alle aspettative della banca centrale, possono adottare una prospettiva più cauta. Lo scorso venerdì il numero uno della FED ha detto all'American Economic Association che la politica monetaria a stelle e strisce non ha un ritmo prestabilito e che sarà sensibile all'evoluzione economica e dei mercati.

I ritocchi dei tassi

Secondo molti economisti la Fed potrebbe aver bisogno di alzare i tassi di interesse solo una volta nel 2019, a causa del rallentamento globale dell'economia. Ma addirittura comincia a prendere corpo l’idea che quest'anno non verranno toccati, mentre il 2020 potrebbe registrare un taglio dei tassi. L'istituto centrale li ha alzati quattro volte nel 2018.

Le ripercussioni sul dollaro

Le aspettative calanti di un aumento del costo del denaro USA ha stimolato l'euro, che si è riavvicinato a quota 1,15. Anche il franco svizzero ha guadagnato molto rispetto al dollaro, che è sceso dello 0,7% a 0,9799 franchi (qui trovate le previsioni cambio euro franco svizzero 2019). Il dollar index è sceso dello 0,4 percento a 95,736, non lontano dal minimo di 2 mesi e mezzo a 95,68 raggiunto la scorsa settimana. Il dollaro ha sovraperformato le altre valute nel 2018 poiché la Fed ha proceduto a tassi più serrati. Ma se rimarrà in sospeso nel 2019, potrebbero beneficiare di altre valute come l'euro.

Consiglio: prima di fare investimenti online, studiate bene i pattern candele giapponesi figure trading.

Nei prossimi giorni bisognerà tenere d'occhio l'incontro tra i funzionari di Washington e Pechino questa settimana. Il presidente Donald Trump e il presidente cinese Xi Jinping hanno concordato la tregua tra di 90 giorni nella loro guerra commerciale. C'è un certo ottimismo riguardo questi colloqui USA-Cina sul commercio, mentre sembra essere ancora in salita la strada verso lo stop allo shutdown.