Il primo grosso problema pratico che il nuovo
governo giallo-rosa dovrà affrontare, è evitare l'aumento dell'IVA disinnescando le clausole di salvaguardia. Ma i tempi sono stretti, poche settimane appena.
IVA e scadenze per il Governo
A fine settembre infatti scade la
nota di aggiornamento al Def, mentre il progetto di
documento programmatico di bilancio deve arrivare alla Commissione Ue entro metà ottobre. Pochi giorni dopo il governo deve avviare l’
iter parlamentare della Legge di stabilità, da concludersi a fine anno per evitare l’esercizio provvisorio. Se anche uno solo di questi passaggi avvenisse in ritardo,
l'aumento dell'IVA potrebbe diventare un incubo concreto. Urgono coperture.
Le clausole di salvaguardia
Ma cosa sono queste clausole di salvaguardia? Sono
norme che garantiscono un automatico incremento delle entrate fiscali, con efficacia differita, in modo che vengano rispettati i saldi di finanza pubblica. Ad esempio, con
il governo Letta è scattato l’aumento dell’Iva ordinaria dal 21% al 22%. L'unico modo per sterilizzare questi aumenti automatici, è avere sempre le risorse necessarie dalle altre entrate fiscali. Il primo governo Conte ha già disattivato le clausole di salvaguardia ereditate per il 2018 e il 2019 operando in disavanzo, mentre il nuovo esecutivo dovrà sterilizzare quelle relative al biennio 2020-2021 reperendo
risorse per circa 23,1 miliardi di euro al fine di scongiurare un aumento dell’aliquota Iva ridotta dal 10% al 13% e di quella ordinaria dal 22% al 25,2% nel 2020 e al 26,5% nel 2021.
Aumento dell'IVA e conseguenze
Inutile dire che un aumento dell'IVA finirebbe per avere
gravi ripercussioni sui consumi (
Confcommercio stima un calo tra gli 11 e i 18 miliardi di euro), un
impatto negativo sul Pil (circa mezzo punto percentuale), mentre il
budget familiare medio verrebbe colpito per circa 541 euro all’anno. Proprio queste conseguenze fanno sorgere delle forti critiche alle stesse clausole di salvaguardia. L’incremento di gettito derivante da un aumento dell'IVA, infatti potrebbe essere sovrastimato proprio perché non terrebbe conto delle conseguenze macroeconomiche che le stesse maggiori aliquote provocherebbero. Insomma, un cane che si morde la coda.
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