Cresce l'esercito degli
smart worker italiani, che sono ormai 570mila. Si tratta di coloro che hanno un
lavoro flessibile riguardo all'orario e al luogo di svolgimento, grazie al fatto che sfruttano gli strumenti digitali che gli permettono di lavorare in assoluta mobilità.
Il lavoro ultra-flessibile in Italia
In base ai dati pubblicati nell'
Osservatorio Smart Working della School of Management del
Politecnico di Milano, rispetto allo scorso anno
il numero di smart worker è cresciuto del 20%, a dimostrazione di quanto le imprese stiano guardando con sempre maggiore interesse a questo tipo di lavoro. Nel 2019 la percentuale di
grandi imprese che ha avviato progetti di questo genere è del 58%. Ma oltre a queste aziende che si sono già mosse concretamente, c'è un ulteriore
7% di imprese che ha cominciato ad intraprendere iniziative informali, e un altro 5% che prevede di farlo nei prossimi dodici mesi.
In totale quindi il lavoro extra-flessibile è preso in considerazione già dal 70% delle aziende. Anche il rimanente 30% però non è del tutto freddo allo smart working, visto che due terzi di queste imprese dichiara probabile una introduzione di futuro.
Lavoratori più coinvolti e soddisfatti
Se le aziende stanno cogliendo l'importanza del
lavoro extra flessibile, chi già l'ha colta sono i lavoratori. Gli smart worker infatti hanno un grado di
soddisfazione molto più elevato dei loro colleghi "tradizionali", visto che il 76% si dice soddisfatto della sua professione, contro il 55% degli altri dipendenti. Migliora anche il
coinvolgimento nel proprio lavoro: uno su tre si sente pienamente coinvolto in quello che fa, contro il 21% dei colleghi tradizionali.
I benefici e le criticità
I principali benefici per chi fa questo tipo di
lavoro ultra-flessibile è nel miglioramento dell’equilibrio fra vita professionale e privata (46%). Migliorano anche motivazione e coinvolgimento (35%). I problemi invece riguardano la gestione degli smart worker
nei momenti di criticità aziendale, insomma nell'emergenza (per il 34% dei responsabili), oppure nel pianificare le attività (26%). Dal punto di vista del lavoratore "smart", la prima difficoltà a emergere è la
percezione di isolamento (35%), poi le
distrazioni esterne (21%), i problemi di comunicazione e collaborazione virtuale (11%) e la barriera tecnologica (11%).
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