Un altro bel problema per le banche italiane
Per adesso non sono ancora una priorità nell'agenda delle banche italiane, ma presto ptorebbero diventarlo e finiti nel mirino della Vigilanza bancaria europea, proprio come successo per i NPL. Secondo un recente studio, nei bilanci dei nostri istituti alla fine del 2017 ammontavano a 94 miliardi lordi. A causa delle svalutazioni quei miliardi diventano 66. Significa cioè che in valore superano l'importo delle sofferenze nette, i famigerati non performing loans, che si fermano a quota 64 miliardi.E' fuori di dubbio che i crediti incagliati sono l'anticamera delle sofferenze vere e proprie. In questo senso altri dati sono allarmanti. Oltre la metà degli accordi intrapresi tra banche italiane e aziende debitrici (per lo più si tratta di piccoli imprenditori) non è ancora stato concluso, mentre addirittura il 40% di quelli che sono stati firmati, nel giro di quattro anni hanno finito per chiudersi malissimo con il fallimento o la liquidazione del debitore.
Il problema di questo tipo di situazioni è che non possono essere gestite allo stesso modo dei NPL. Nel caso degli Utp infatti si agisce su un rapporto ancora vivo, nel quale la banca non può tirare troppo la corda perché rischia di far soccombere il debitore e quindi trasformare gli Utp in NPL, facendosi in definitiva del male da sola. Il rapporto che deve instaurarsi è quindi molto simile a quello consulenziale, perché deve essere finalizzato a far riemergere l'azienda. Vanno coinvolti anche avvocati, urbanisti, talvolta ingegneri e di sicuro relationship manager. Ma sono pronte la banche italiane per questa nuova sfida?
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