La situazione del debito argentino continua a preoccupare analisti e investitori, anche se negli ultimi giorni è arrivata una buona notizia. L'ennesimo default del Paese sudamericano sembra scongiurato, visto che il 4 agosto scorso Buenos Aires ha raggiunto un accordo con i creditori più intransigenti, che consentirà di ristrutturare di quasi 67 miliardi di dollari di titoli del suo debito estero.
La ristrutturazione del debito argentino
Dopo lunghi mesi di trattative, la linea del presidente Fernandez ha prevalso. Forse hanno fatto breccia i suoi ultimi appelli: “Stiamo facendo uno sforzo enorme. Ed è l’ultimo che possiamo fare. Chiedo, per favore, che aiutino l’Argentina a uscire dalla depressione”. I colossi della finanza come Blackrock, Ashmore e Fidelity hanno accettato un piano di rientro molto favorevole al debitore, che consentirà all'Argentina di risparmiare - tra capitale e interessi - circa 34 miliardi di dollari. Probabilmente non s'è trattato di uno slancio di umanità, bensì del timore concreto di rivedere un film già visto nel 2001, col default che avrebbe lasciato i creditori non nulla in tasca.Situazione drammatica
La situazione dell'Argentina è effettivamente drammatica. Buenos Aires sta pagando a caro prezzo le politiche neoliberiste dell’ex presidente Macri. Sotto la sua guida il Paese aveva contratto un debito pesantissimo. Questo aveva innescato un'inflazione stratosferica (oltre il 50%), un calo vertiginoso del PIL e un crollo del valore del Peso (suggeriamo di vederlo su grafico Heikin Ashi candlestick).
L'arrivo del Covid ha soltanto reso ancora più drammatica una crisi già in atto.
Lettura extra: se qui parliamo della situazione argentina e della sua valuta, altrove abbiamo parlato delle previsioni franco svizzero euro.
Un problema che viene da lontano
Ma come detto, i problemi dell'Argentina arrivano da lontano. La prima esplosione del debito risale alle dittature di Onganía e Lanusse (1966/1973), che lo portarono da 3,2 a 4,8 miliardi di dollari. Da allora in poi è stato un crecendo continuo. Dieci anni dopo, nel 1983, Raúl Alfonsín lo trovò a 43 miliardi di dollari. Sedici anni dopo, alla fine dell'era Carlos Menem, era arrivato quasi a 150 miliardi, con i disastri Kichner e Cristina Fernández, dal 2003 al 2015, arriviamo a un debito di 250 miliardi di dollari. Dopo Mauricio Macrì siamo arrivati a 323 miliardi, 200 dei quali con scadenza a quattro anni. come se non bastasse, la Banca centrale argentina ha messo in evidenza che c'è stata una fuga di capitali, dal dicembre del 2015 al novembre del 2019, pari a 88,371 miliardi di dollari.
Il conto del disastro non finisce qui. Perché c'è un credito chiesto al FMI dal governo Macri, già erogato per 44 miliardi (su 56 pattuiti). Bisognerà anche ristrutturare questa pendenza.
Nessun commento:
Posta un commento