BCE, FED e dollaro
Ad innescarla sono stati due fattori. Anzitutto le dichiarazioni del presidente della BCE Mario Draghi, che è parso molto ottimista sul futuro dell'eurozona. Questo slancio del presidente BCE su reflazione e rafforzamento crescita economica, è stata interpretato dagli investitori come una possibile apertura ad una svolta restrittiva. In realtà poi altri membri hanno detto che non è proprio così, ma intanto il fatto s'era compiuto. L'euro ha spinto sull'acceleratore toccando i massimi di oltre un anno (si veda il grafico con il Demarker indicator).Dall'altra parte, negli USA c'è stata una frenata del dollaro. La Yellen è stata molto più dovish del suo collega europeo, e questo è stato interpretato come un possibile preludio ad un rallentamento del programma di rialzo del costo del denaro messo in atto dalla Fed.
Per questo motivo i riflettori questa settimana sono puntati proprio sul dollaro USA. Si cercheranno maggiori indicazioni sulla reale fattibilità del rialzo dei tassi da parte della Fed. ciò sarà possibile solo in presenza di dati economici positivi, visto che fino ad ora le intenzioni di politica monetaria della Fed non sono state supportate dalla crescita economica. E soprattutto non sono state sostenute dall'inflazione.
Se l'ultimo ritocco del costo del denaro è stato fatto ignorando i dati, il prossimo non potrà essere così. Ecco perché i dati macro sono importantissimi. Uno dei principali market mover in questo senso sarà il rapporto sull’occupazione di venerdì 7 luglio. Ci si aspettano 180mila nuovi posti di lavoro. Ma saranno importanti anche i verbali dell’ultima riunione della Fed, in uscita mercoledì. Questo ci farà capire la view sull’inflazione dei banchieri centrali americani.
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