Grazie all'avanzata delle campagne di vaccinazione, finalmente la pandemia ha allentato la presa. Le vacanze estive potrebbero essere all'insegna della "quasi normalità", con tutti i pro e i contro del caso. E tra i contro rientra anche l'evasione fiscale collegata agli affitti brevi.
Gli affitti brevi e l'evasione fiscale
Le case al mare e quelle nelle città d'arte riaprono ai turisti, ai quali vengono fittate per i loro brevi soggiorni vacanzieri. Il problema è che quasi sempre chi le dà in affitto, si guarda bene dal dichiarare i relativi redditi.Secondo alcuni calcoli, in Italia ci sarebbero circa 400 mila immobili messi in affitto sulla piattaforma Airbnb. Alla fine i redditi da locazione derivanti questi immobili producono una evasione fiscale da cifre spaventose, calcolata in almeno 500 milioni di euro.
La pezza messa da Gentiloni
Il problema non è certo attuale, anzi è abbastanza noto e radicato.
A provare a metterci una pezza fu il governo Gentiloni, che cercò di scaricare sugli intermediari online il compito di combattere l'evasione fiscale. In che modo? Applicando una ritenuta alla fonte del 21% su quanto incassato dal proprietario sugli affitti di durata inferiore a 30 giorni.
La reazione giudiziaria degli intermediari
In teoria il ragionamento non faceva una piega, in pratica non è mai stato concretizzato. L'idea di fare da sostituto d'imposta è infatti stata da subito osteggiata da Airbnb, che ha adito vie legali perché ritenuto in contrasto con le norme Ue. E così la norma è rimasta inapplicata, quindi ciascun proprietario di casa dovrebbe dichiarare il reddito da affitto e pagare la relativa imposta.
Il contenzioso che ne è scaturito è ancora in pieno svolgimento, e fin quando non verrà risolto la situazione rimarrà quella che è.
Lo stesso accadrà qualora i tribunali dovessero dare ragione ad Airbnb, perché in quel caso la piattaforma potrà continuare ad agire indisturbata e chi non ha dichiarato sarà eventualmente perseguito dall'Agenzia delle Entrate. Se invece i tribunali daranno ragione allo Stato, allora lo scenario cambierà.
La speranza legata alla UE
Nel frattempo che si arrivi a una soluzione, la via di uscita da questo circolo vizioso potrebbe fornirla la UE. Infatti nel 2023 entrerà in vigore la direttiva europea Dac7, che imporrà alle piattaforme digitali l'obbligo di comunicare alle amministrazioni fiscali dei Paesi dell'Unione i dati relativi alle attività che vengono svolte, sotto forma di commercio online, grazie ai loro portali.
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